Autore: Davide Libralato
Nicola, ti conosco da più di due decenni. Da musicista hai un bagaglio davvero incredibile: dal Metal estremo al Rock, dalla musica Classica al cosiddetto “Indie”…ma da ascoltatore cos’è che proprio non riesci a digerire?
Beh, ci sono alcuni generi che non digerisco molto, ma direi che le più grosse difficoltà le trovo nell’ambito dark, wave, postpunk e simili. Teoricamente questo mondo dovrebbe piacermi, visto che mi è anche affine a livello anagrafico, ma niente da fare. Ho provato ad ascoltare molti dischi famosi, ma ogni volta mi annoiano e alla fine devo dire che mi imbruttiscono senza un motivo preciso. Anzi, di motivi ce ne sono, ma sono puramente una questione di gusti personali. Peccato, perché è un mondo vasto in cui ci sono sicuramente dei capolavori che non riesco ad apprezzare.
Per chi non lo sapesse provieni dalla musica classica, sei diplomato al conservatorio in violino. Quanto questa impronta ha influito nella visione musicale che esprimi all’interno del tuo progetto quasi ventennale “Bologna Violenta” ? Come definisci quindi il tipo di musica che proponi?
La musica classica rappresenta le basi su cui si fondano un po’ tutti i miei lavori. Non a caso sono un assiduo ascoltatore di questo genere, anche dopo anni di studio del violino. Del resto parliamo di secoli di musica, con caratteristiche sempre diverse, che ancora mi dà tanto. Bologna Violenta inizialmente voleva essere un completo distacco da questi ascolti, non a caso i pezzi sono pieni di riff quasi punk, ma dal terzo album (Utopie e piccole soddisfazioni) ho capito che ero pronto a mettere insieme le mie due “anime”, ovvero quella votata alla distruzione della melodia e quella degli studi accademici. La cosa si è evoluta attraverso i dischi successivi fino all’ultimo (Bancarotta morale) in cui è tutto scritto e studiato a tavolino, anche se l’intento è rimasto quello di destabilizzare gli ascoltatori. Non so di preciso come definire la mia musica. Mi piace l’idea di creare qualcosa di inaspettato e di stupire chi mi ascolta.
Questa te la devo chiedere: hai coniato un termine che è poi diventato anche un aggettivo per l’etichetta di cui hai la paternità. Cosa significa essere ” Bervisti” ? Cosa intendi per “Bervismo” ?
Questa è una cosa abbastanza particolare che mi ha segnato parecchio. Una sera di molti anni fa, ero a Udine a suonare e il B&B che ci ospitava era molto bello ma davvero poco accogliente. La mattina il tavolo con la colazione era imbandito come nelle pubblicità del Mulino Bianco e anche la luce che entrava dalla finestra sembrava studiata. C’era un guestbook aperto sul tavolo e non volevo scrivere che la notte appena passata era stata un incubo di freddo e umidità sopra i limiti della decenza, quindi ho scritto la prima cosa che mi passava per la testa, ovvero “Bervismo per più!”. Ovviamente non voleva dire nulla, mi è sempre piaciuto inventare parole senza senso. Però questa frase mi è rimasta in testa e ho deciso di scriverla nei social, ovvero su Myspace e su un neonato Facebook, per vedere l’effetto che faceva. Si è generato un vero e proprio esperimento sociale (o social, anche se ai tempi non si usava molto questo termine) in cui la gente mi chiedeva cosa volesse dire questa frase ed io rispondevo: secondo voi cosa significa? Ne sono nati molti messaggi privati in cui c’era questo filo conduttore in cui tutti si rispecchiavano, ovvero una specie di filosofia (passami il termine) in cui gli esseri umani si rispettavano vicendevolmente, ma soprattutto accettavano il bello e il brutto della vita senza farsi troppi problemi. Una specie di “iper-buddismo”, ovvero una versione più moderna dello stesso pensiero. Da lì ho continuato a scriverlo in giro (ora molto meno in verità) e ho lasciato che questo Bervismo rimanesse nella testa della gente. Ancora oggi mi sorprendo quando la gente cita questa frase.
Nonostante tu abbia uno stile ed un approccio sonoro quasi sempre violento (ahahahah ecco servito il gioco di parole con il nome della tua band), la tua persona risulta costantemente sensibile a tematiche umane e sociali, rispecchiandolo poi nei contenuti che proponi. Detto ciò, secondo te nel 2023 l’ascoltatore italiano medio è ancora legato al fatto che: “se il contenuto è espresso in maniera sdolcinata è automaticamente positivo” o contrariamente riesce a giudicare in modo obiettivo l’Artista per quello che espone?
Mah, guarda, secondo me la maggior parte delle persone capisce poco di quello che gli viene proposto. Non voglio essere pessimista o polemico, ma se da un lato mi rendo conto che molte cose musicalmente più estreme sono state sdoganate, dall’altra vedo anche che la gente non fa molto caso a quello che gli viene propinato, non lo giudica e non si pone delle domande; soprattutto in tempi come questi dove tutto viene fagocitato, digerito ed espulso dalla memoria con tempistiche inimmaginabili fino a qualche decennio fa. Di sicuro mi piacerebbe che la gente che ascolta i miei dischi fosse portata a farsi delle domande, a farsi delle amare risate per poi ragionare su quello che ha sentito (o visto, nel caso dei concerti), ma, per dirne una, non sono nella testa dei più giovani, quindi non so di preciso come funzionino le cose nella fruizione della musica al giorno d’oggi. Di sicuro se facessi canzoni più dolci, la gente capirebbe che sono una persona (a volte) molto attenta e sensibile. Ma amen, sarà per la prossima vita.
Se Nicola Manzan non avesse fatto il musicista cosa avrebbe fatto o farebbe oggi nella vita?
Ottima domanda! Da bambino mi piaceva molto giocare a rugby, quindi forse mi sarei buttato in ambito sportivo (quando mi è stato chiesto di scegliere tra sport e musica non ho avuto alcuna esitazione, sia chiaro). Magari farei l’insegnante (come del resto faccio nella vita “normale”), ma devo dire che da piccolo ero molto appassionato di motori, quindi magari adesso potrei essere un meccanico o qualcosa del genere. Vai a saperlo, è una domanda che mi pongo spesso anch’io. Soprattutto perché mi sarebbe piaciuto diventare un pilota di aerei, ma me ne sono reso conto troppo tardi.
L’ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perché vive sognando”. Qual è il sogno di Nicola?
Ti vorrei correggere, se posso: l’Artista vive di illusioni e si spacca in quattro per raggiungere degli obiettivi che sono spesso irraggiungibili. Più si impegna con tutte le forze, più ha qualche speranza di arrivare da qualche parte.
Il mio sogno sarebbe quello di avere un certo equilibrio tra la sfera privata e il lavoro. A volte vorrei davvero essere una di quelle persone che, timbrato il cartellino, non pensano più al lavoro fino al giorno dopo. Invece la mia vita è un continuo pensare a progetti da realizzare, a cose da fare, a pezzi da scrivere, studiare, pubblicare, ai concerti, a tutto quello che riguarda la musica. Non riesco a pensare ad altro. Non so neanche dove vorrei andare in vacanza, per capirci. Non ci penso, ho altro in testa. E questo spesso mi crea qualche problema perché ad un certo punto mi sento impazzire,rendendo inoltre la vita non proprio semplice a chi mi sta intorno.
Una ventina di anni fa avevo il sogno di mettere il mio nome su almeno dieci dischi. Ora che sono quasi a duecento release, penso che il mio sogno reale sia quello di continuare a fare musica, di far divertire gli altri con quello che faccio e di trasmettere la mia passione alle persone che attraversano la mia vita perché, fondamentalmente, mi sento una persona molto fortunata e vorrei che chiunque potesse esserlo quanto me. La musica può essere una passione, un’ossessione… ma anche una semplice colonna sonora di alcuni momenti, quindi tanto vale farla bene, rispettandola come forma d’arte, perché l’arte fa bene alla vita di tutti.