Autore: Davide Libralato
Il vostro nome, ovverosia LDV, è l’acronimo di La Dolce Vita. Conosciamo bene il significato di questo concetto divenuto per noi italiani il simbolo di un vero e proprio stile di vita. Cos’è per voi “la Dolce Vita” e quanto questo orientamento ha influenzato la vostra band? Raccontateci un po’ di voi…
La scelta del nome La Dolce Vita risale al 1979, anno di formazione della band. Dobbiamo fare
riferimento al clima e alla tendenza musicale dell’epoca per capire questa scelta: il punk aveva ormai
esaurito il suo spirito originario e un nuovo stile si affacciava sulla scena. Erano gli anni della diffusione
del post-punk che proponeva un’estetica più rigorosa, elegante e molto retrò. Ricordo (Massimo) ancora il fascino che provammo guardando la copertina del primo album dei Public Imagine Ltd. Una nuova immagine pulita, con un John Lydon ben pettinato e in giacca e cravatta. La nostra decisione di chiamare il gruppo La Dolce Vita era in linea con questa nuova tendenza e costituiva all’epoca una vera e propria scelta di rottura con l’immagine violenta e aggressiva del punk e richiamava sicuramente per noi italiani, ma non solo, il simbolo di un vero e proprio stile elegante che si rifaceva ovviamente a quello mostrato da Fellini nel suo capolavoro, lo stile degli anni ’50 e ’60. Tutto ciò si applicava inoltre alle scelte di carattere musicale: rottura con la violenza del punk e ricerca di uno stile più elaborato, anche attraverso l’utilizzo delle tastiere. Questo orientamento ha influenzato fortemente la band negli anni rimanendo ancora adesso fedeli a questo
principio estetico.
A mio vedere siete una di quelle realtà musicali che affonda le proprie radici anche negli aspetti culturali a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Quello che proponete nelle vostre canzoni però, sia per i contenuti sia a livello sonoro risulta ancora oggi attuale… come mai secondo voi? I tempi non sono poi così cambiati o voi siete più “moderni” di quello che sembrate?
Lo stile mio (Maurizio) e di Massimo, membri fondatori del gruppo, si è formato negli anni ’70 e proviene da radici diverse, rispettivamente classic rock e disco/pop per me e punk/post-punk per Massimo. Il nostro intento, quando abbiamo creato il gruppo, era di evolvere verso un genere new romantic aggressivo ma attento sia all’immagine che ai contenuti.
Col tempo i nostri brani hanno mantenuto queste influenze cercando uno stile essenziale e d’impatto immediato; in questo modo trasmettiamo un messaggio diretto ma con tutte le influenze musicali che ci contraddistinguono ed è proprio li che forse sta la nostra attualità.
Parliamo un pò del disco che avete da poco pubblicato, Confessions. Sicuramente un album musicalmente variegato ma legato da almeno un filo conduttore: la sensazione di avere di fronte delle vere e proprie confessioni, in altre parole le eredità musicali di quattro esperti musicisti che si emozionano di fronte alla forza della musica, non abbandona mai l’ascoltatore. La mia è una lettura che può risuonarvi familiare?
L’album rappresenta la sintesi di un lungo percorso musicale, è una sorta di antologia, che non segue strettamente un ordine cronologico e ogni singolo brano è testimonianza del particolare momento storico ed emotivo che il gruppo ha attraversato quando è stato composto. L’album è un diario intimo, i vari pezzi sono delle “polaroid esistenziali” che rispecchiano passioni, ricordi, entusiasmi, ambizioni e aspettative; ma anche momenti di tensione, solitudine, delusioni e frustrazioni. Tutto traspare nella musica e nei testi e ora l’offriamo per un ascolto partecipato, mettendo a nudo la nostra anima e confessando le nostre emozioni in modo aperto.
Ho avuto il privilegio di sentirvi dal vivo e credo che un punto di assoluta forza che avete sia la “presenza scenica”. È il risultato dell’esperienza o di una ricerca ben precisa? Quanto conta il live in una band come la vostra?
Per noi la “presenza scenica” è fondamentale. Non solamente da un punto di vista estetico, per il quale
rimaniamo fedeli a una certa immagine di cui parlavamo prima a proposito del nome, immagine che ci porta ad adottare nei live uno stile volutamente elegante e rigoroso (camicia e cravatta sono quasi un must), ma
anche da un punto di vista scenico. Ci piace lasciarci trascinare dalla musica, lasciarci andare è una cosa
che facciamo d’istinto e soprattutto Massimo, il frontman, che ama il contatto con il pubblico cerca
sempre di trascinarlo e coinvolgerlo. Diciamo che questo atteggiamento si è andato consolidando con
l’esperienza e ora ci sentiamo più padroni del palco: è un aspetto che ormai ci contraddistingue. Siamo una
band caratterizzata da live dinamici ed energici e il pubblico che viene a vederci lo sa e se lo aspetta.
Fotografando l’odierno panorama musicale e le proposte anche a livello internazionale, quanto pensate possa essere importante tutto il filone post-punk e new wave (per voi fonte di grande ispirazione) nella creazione della musica di oggi?
Grazie al post punk “classico” ancora oggi le tessiture e la struttura dei pezzi di certe band si basano su quel sound e per alcuni versi sulla sperimentazione: ci viene da pensare a gruppi come The Strokes, Interpol, Editors e tanti altri, che restano fedeli a quel filone. I Wire erano post-punk ancor prima che il post-punk si diffondesse: se pensiamo a Pink flag, quella bandiera rosa in copertina era datata 1977 e suonava già così diversa. I Public Image Ltd sarebbero nati solo un anno dopo, nel 1978. Il post-punk insegna tanto a chi lo sa ascoltare con attenzione e lo spirito di avanguardia, di sperimentazione e di scardinamento delle strutture del rock tradizionale che ha introdotto costituiscono una vera e propria scuola e sono ancora fonte di ispirazione per tanti gruppi attuali più e meno noti.
Ora l’ultima domanda, quella che si ripete in ogni intervista di questa rubrica: “l’Artista per me può definirsi tale perchè vive sognando”. Qual è il sogno dei LDV?
Il sogno degli LDV, e non lo nascondiamo, è la notorietà: come già detto in altre occasioni, vogliamo diventare delle rock’n’roll star e poter vivere di musica, uscire dalla provincialità, emergere. È un’utopia, certo, ma vogliamo sognare e crederlo possibile. Comunque, se ci pensiamo bene, riuscire ancora a fare quello che facciamo adesso ed essere arrivati fino a questo punto, pensando all’età che abbiamo… quello per noi è il più bel sogno e lo stiamo vivendo proprio ora.