FACCIA A FACCIA CON LA MUSICA: DAVIDE AUTELITANO (I MINISTRI)

FACCIA A FACCIA CON LA MUSICA: DAVIDE AUTELITANO (I MINISTRI)

Autore: Davide Libralato

Davide, tu sei il frontman dei Ministri, una tra le band che a mio vedere trasmette più affiatamento… siete così anche a livello compositivo? Come nascono di norma i vostri pezzi? 
I nostri pezzi non nascono in una maniera specifica. In genere tanto del lavoro per quel che riguarda i brani composti da Fede, avviene nel nostro covo, dove suoniamo. Si parte da un piccolo embrione molto spesso in chiave acustica, e da lì si comincia a mettere in risalto i momenti per noi più forti ed incisivi e a mettere in discussione quelli che appaiono più deboli, chiaramente pilotando le sonorità su quello che a ciascuno di noi interessa di più in quel momento, o semplicemente ripescando nel nostro background comune quello che sembra suonare meglio come modello di riferimento per il brano in questione. La nostra fortuna è che Fede è molto prolifico sul fronte scrittura, per cui abbiamo sempre molto materiale da lavorare. Per quanto riguarda invece le canzoni che mi riguardano, in genere sono molto geloso delle scelte e degli arrangiamenti che compongo, per cui arrivo col brano quasi completamente finito, già registrato più o meno in ogni sua parte. Soffro talmente tanto per qualsiasi modifica che ammetto di essere un cattivissimo cliente da avere in sala prove quando si provano i miei pezzi, per questo motivo ringrazio i miei soci per la loro infinita pazienza con me.

È ormai vent’anni che calcate i palchi di tutta Italia. Come ci si sente ad essere tra i veterani di un genere cosiddetto “alternativo” ed “underground”?
La cosa buffa è che quando abbiamo iniziato a suonare, il genere che andava per la maggiore era quello che oggi si è ritrovato a fare i conti con il concetto di nicchia. E per assurdo un genere intero, che racchiude in sè una quantità di derive, declinazioni e filosofie che a tratti mi lascia piuttosto perplesso pensare che oggi viene semplicemente e riduttivamente considerato il genere “di chi fa casino con le chitarre”. In questo senso, la sensazione è di essere in qualche modo più dei superstiti che dei veterani. Siamo riusciti ad essere importanti per più di una generazione e questa cosa per i tempi velocissimi di oggi, vale tantissimo. Ci sentiamo parte di un racconto che viene oramai tramandato e che ci riporta forse a quello che era veramente l’obiettivo più sincero che avevamo agli inizi, ovvero la voglia di lasciare un segno indelebile, anche se comunque piccolo. La cosa che credo ci abbia ripagato più che mai in questi vent’anni, è stato il cercare tutto sommato di non inseguire strane chimere di successo veloce che avrebbero potuto snaturarci e toglierci credibilità. Noi siamo e saremo sempre quelli che fanno casino con le chitarre.

Questa te la devo chiedere,  sono troppo curioso. Il tuo modo di cantare,  che alterna un “pulito melodico” a parti taglienti in “screaming” (urlando per chi non conoscesse il termine) si ispira a qualche voce in particolare o è frutto dei tuoi ascolti (secondo me) variegati?
Direi entrambe le cose. Il mio imprinting con la musica aveva tantissima melodia e tantissimo ritmo. Avevo come “mentori” Michael Jackson e Freddie Mercury, e questa cosa ha sicuramente fatto in modo probabilmente che si sviluppasse una qualche sensibilità a quel modo di cantare di cui parli. Sono entrambi cantanti con un graffiato molto importante nel loro timbro e per la loro interpretazione. Poi chiaramente essendo stato un teenager negli anni a cavallo del 2000 la musica che si ascoltava era quella: Nirvana, Rage Against the Machine, Foo Fighters, Linkin Park, Korn…insomma chi più ne ha più ne metta. Tutti progetti che avevano nelle parti più gridate il loro punto di forza espressiva. Ho provato a prendere tutte quelle informazioni e a riportarle su altri mondi che ho da sempre adorato come la musica britannica della metà degli anni Novanta. Direi che forse la risultante di tutte queste cose mi ha fatto limare lentamente uno stile che oggi mi identifica in quel modo di cantare.

Usando la vostra arte come arma di provocazione non avete mai nascosto quelli che sono per voi i limiti e le ingiustizie dei tempi nei quali stiamo vivendo; a tuo avviso questa caratteristica vi ha reso solamente più unici o meno “per tutti”?
In generale noi non abbiamo mai inteso il palco come un piedistallo da cui fare comizi, quanto più come un megafono per manifestare contro qualcosa insieme a tutti gli altri. Ci siamo sempre sentiti dei privilegiati a fare quello che facciamo e col tempo abbiamo cominciato anche ad essere consapevoli delle responsabilità che questa cosa implica. Siamo partiti tra la gente e così vogliamo finire. È chiaro che stiamo vivendo in un momento storico dove oramai la parola “provocazione” si sta sempre più mescolando al concetto di osceno e scurrile, a tratti anche pericolosamente, per cui ci ritroviamo al netto di tutto a sembrare quasi più leggeri rispetto ai tempi passati, anche se in realtà nulla o poco è cambiato nei nostri contenuti e nei nostri modi rispetto al passato. Le nostre battaglie sono sempre le stesse, da sempre, così come da sempre sono e rimangono inascoltate. Vorremmo essere per tutti ma bisogna anche fare in modo che tutti possano esprimersi e possano essere ascoltati per davvero.

Se dovessi descrivervi per me siete la degna rappresentazione del rock: dritti, irriverenti, talentuosi e a tratti molto dolci. Cos’è per voi il rock nel 2023 ? È cambiato negli anni o ha saputo mantenere le proprie caratteristiche?
Per me il Rock oggi è lo stesso genere e la stessa cosa di sempre, solo che non è più al centro della scena come accadeva nelle scorse decadi. Quello che vediamo al massimo è qualche progetto cono sonorità più o meno Rock che si trova sotto le luci della ribalta, in un momento dove i riflettori su quel mondo si sono abbastanza spenti. Quindi di fatto, non me la sento di dire che c’è un ritorno al rock. Io credo che il rock ci sia sempre stato, basta semplicemente andarselo ad ascoltare. Il fatto che qualche progetto musicale sia riuscito ad ottenere una qualche attenzione da parte dei massimi sistemi negli ultimi tempi, non significa che quella cosa era morta prima nè che sia risorta ora. Detto questo, io considero il rock un universo fatto di milioni di forme diverse. Trovo riduttivo pensarlo un genere e basta, figuriamoci una nicchia. Al massimo ci sono delle nicchie all’interno del rock. L’importante è uscire dal clichè del rock, motocicletta, birra e linguaccia di fuori. Ci meritiamo di meglio.

L’ ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perchè vive sognando” Qual’è il sogno di Davide Autelitano e dei Ministri?
Portare avanti la musica nella mia vita, senza scendere a (troppi) compromessi e senza mai doverla pensare come un obbligo, preservando il più possibile la sua componente di gioia e di felicità che poi è alla base di ogni processo creativo genuino per me.
Ovviamente in questo discorso ne fanno parte, se non totalmente in ottima parte, i Ministri. La mia band.