FACCIA A FACCIA CON LA MUSICA: BUNNA (AFRICA UNITE)

FACCIA A FACCIA CON LA MUSICA: BUNNA (AFRICA UNITE)

Autore: Davide Libralato

Bunna, ti considero tra le voci più vibranti ed espressive della musica italiana. Quando hai scoperto di avere questo dono e la capacità di esprimerti attraverso lo strumento più naturale che esista, ovvero la voce?
Devo dire che non è stato un momento ben preciso a segnare questa cosa anche perché mi è sempre piaciuto farla, fondamentalmente mi divertiva e quindi le cose sono andate un po’ da sole. Mi sono innamorato della musica di Bob Marley e ho cominciato provando a cantare le sue canzoni. Quello che tu dici della mia voce l’ho sempre pensato della sua, che trasmettesse molto e facesse vibrare veramente certe corde importanti e, per uno spirito di imitazione, andai in quella direzione lì. Se tu sostieni che ci sia riuscito mi fa piacere e riconosco anche un pò di fortuna in questo. È stato un percorso del tutto naturale, sono un autodidatta e avere questo tipo di voce particolare e riconoscibile è molto importante per un cantante.

Reggae e Ska, due generi molto simili ma sotto certi aspetti diversi. Tu che del Bel Paese sei tra i maggiori esponenti di queste realtà musicali provenienti dalla Giamaica,  sai dare una tua definizione ad entrambi considerando le tue sensazioni descrivendomi le emozioni (presumo differenti) che riescono a darti?
Il mio percorso durato 12 anni con i Bluebeaters mi ha permesso di conoscere tutta una serie di musica giamaicana, un repertorio che non conoscevo così bene, compreso tutto quello che precedeva gli anni ’70 e quindi il reggae (che è poi è una derivazione di quel sound lì). Questi due generi hanno sicuramente una radice comune ma si esprimono in maniera un po’ diversa. Il Rocksteady e lo Ska vogliono essere due stili più divertenti, che fanno ballare forse molto di più di quanto lo faccia il reggae ed essendo fondamentalmente una musica di “socialità” anche i temi che trattano solitamente sono temi abbastanza “leggeri”; si parla di amore piuttosto che di argomenti poco “impegnativi” ecco.  Il reggae dall’altro lato, a partire da Marley in poi, è un genere che aldilà di far divertire perché ovviamente un aspetto ludico e danzereccio ce l’ha anche lui,  molto spesso è usato proprio per trasmettere messaggi più impegnati. Da qui ti dico infatti che la mia volontà insieme a quella degli Africa Unite è stata sempre di mantenere un messaggio impegnato, era ed è una nostra prerogativa.

Alla musica di oggi spesso viene rimproverato che sia priva di contenuti e di messaggi portatori di ideali positivi. Il reggae con le sue numerose e diverse derivazioni ha una grande capacità: riuscire ad infondere calma e leggerezza.  Questo, che secondo me è già di base positivo, quanto manca nel mondo della musica contemporanea?
Sicuramente penso che manchi tanto anche perché siamo inseriti in un contesto nel quale manca il poco impegno sociale e il qualunquismo fa da padrone. Siamo oltretutto legati ad un mondo che vive una socialità molto diversa da quella che abbiamo vissuto noi quando eravamo ragazzi. Sarebbe importante dare degli spunti e dei consigli usando anche la musica, invece gli artisti “dell’ultima ora” e degli ultimi anni cominciano a farla perché vogliono “spaccare”, vogliono diventare subito famosi. Come i vari personaggi su Instagram o su Tik tok, che cercano di ricreare sempre le stesse cose perché bene o male funzionano. Questo è un altro motivo per il quale credo che la musica a livello artistico negli ultimi anni abbia assistito ad un appiattimento molto forte proprio perché si cerca di imitare situazioni che magari per qualcuno hanno funzionato cercando di puntare solo al successo. Oltre alla latitanza di informazioni di un certo tipo (e la musica non le da più) in certi ambienti musicali tipo nella trap, il più addirittura i messaggi sono negativi e  diseducativi. Vengono esaltati il denaro piuttosto che il machismo e le belle macchine, l’ostentare la ricchezza insomma.  Tutto questo è oltremodo diseducativo soprattutto per quel tipo di (giovani) ascoltatori, per quelli adolescenti che non hanno gli strumenti per discernere e scoprire quale sia la strada migliore da percorrere. Peccato, perché la musica dovrebbe avere anche un’attitudine educativa e io penso che questo sia sempre stato importante ma purtroppo (eccetto in rari casi infatti non si può di certo generalizzare) non ce l’hai più. 

Oltre alla passione per il canto e gli strumenti a corda con i quali ti sei espresso al meglio in tutti questi anni di carriera tra Africa Unite, Giuliano Palma & Bluebeaters (più collaborazioni varie) hai una grande passione per consolle e “cuffie”… Dj set insomma. Che cosa provi quando selezioni musica per gente che in quel momento vive le tue stesse sensazioni e si lascia andare all’ascolto?
Questa cosa qui purtroppo non avviene sempre, quando faccio i Dj set bisogna andare incontro al gusto del pubblico e il pubblico non è sempre uguale, a seconda delle situazioni e da dove vai a fare la serata. Per me un pezzo è molto bello e suscita delle emozioni molto forti; lo metto e magari vedo che il pubblico reagisce in modo assolutamente blando non capendo o non percependo le stesse cose che invece suscita in me. Insomma una cosa che faccio è cercare di guardare per individuare dove la pista voglia andare. La gente va coinvolta e alla fine lo scopo di chi mette la musica è quello di far divertire chi hai davanti. Ovviamente poi io non metto nulla che non mi piaccia anche se non sono un Dj di quelli inquadrati e monodirezionalmente convinti con il mio genere. La base ovviamente è il reggae, lo ska e il Rocksteady però mi piace “sconfinare” anche verso l’hip-hop in generale ad esempio, o nel rap italiano perché in qualche modo secondo me fanno parte della stessa cultura quindi ci può stare. Ho cominciato a fare questa cosa un po’ di anni fa in modo assolutamente “ignorante”. Io non mi ritengo un Dj nemmeno adesso se per Dj si intende quello che mixa alle perfezione e a tempo i pezzi. Nel reggae per fortuna questo non è necessario. 

Lungo il percorso della tua vita hai mai pensato di poter far di essa qualcosa che non fosse legato alla musica? Se non avessi fatto quindi il musicista come ti saresti visto e ti vedresti ora?
Bisogna innanzitutto dire che prima di riuscire a far diventare questa passione una cosa che mi permettesse di sopravvivere economicamente ho fatto veramente un sacco di lavori diversi e quindi capisco bene  cosa vuol dire lavorare “sul serio”, in maniera tradizionale diciamo. Tra tutti i lavori che ho fatto però me ne è rimasto nel cuore uno in maniera particolare, lavoro che ho fatto per otto anni: il falegname. Se dovessi tornare a farlo infatti non mi dispiacerebbe per niente, del resto è qualcosa di molto creativo anche quello, dove prendi un pezzo di legno che non ha nessuna “forma” ed utilizzo e lo fai diventare qualcosa che esteticamente è utile e funzionale. Per fortuna però dopo un sacco di sforzi e di impegno sono riuscito a far diventare la passione per la  musica qualcosa con la quale sono riuscito a vivere. Poi chiaro che bisogna sempre reinventarsi trovando delle soluzioni, soprattutto quando in inverno sono fermo con gli Africa Unite e quello del Dj set diventa un gran espediente e un ottimo “tappabuchi” per permettermi di avere un ritorno economico in una dimensione facilmente gestibile che non necessita di grossi artifizi o chissà quale comparto tecnico. 

L’ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perché vive sognando”. Qual’è il sogno di Vitale Bonino al secolo Bunna?
Il mio personale è quello che avevo quando ero un ragazzino, cioè andare sopra un palco e riuscire a fare musica… e quindi questo sogno qui è stato esaudito, e devo dire che quando ho cominciato a suonare non l’ho fatto con un particolare progetto o obiettivo. Ho cominciato a farlo perché divertiva me e chi suonava con me e ammetto che con gli Africa sono stato anche parecchio fortunato perché abbiamo cominciato in un periodo in cui c’era molto fermento musicale, nei primi anni ’90. C’erano le posse e tutta un’attenzione per l’underground che ora forse non c’è. Un sogno più collettivo consiste nel fatto che mi piacerebbe il mondo non fosse gestito da regole che sono legate solamente al profitto ed al business. Sarebbe bello se il mondo tornasse a recuperare un pò di umanità,  sarebbe fondamentale; invece vediamo come tutte le situazioni negative che abbiamo intorno sono bene o male dettate da fenomeni legati all’economia e questo è allucinante. Spaventoso che il profitto sia diventato più importante della salute dell’uomo e dell’umanità. Siamo vittime di questa cosa nonostante ci siano tutti i presupposti per far diversamente e per mettere in atto una rivoluzione… ci sono un sacco di cose che non vanno, anche basilari. C’è poca solidarietà, perché ahinoi il pensiero che passa sempre è quello che 《… tanto io da solo cosa posso fare?》
Lo so che sembrano discorsi abbastanza utopici però penso davvero che sarebbe bello se la gente si unisse, mentre è chiaro che il “progetto” di chi è sopra di noi sia quello di dividerci. Ovviamente chi è unito spaventa e chi è diviso è più facilmente controllabile quindi si cerca in tutti i modi di metter tutti contro tutti affinché le masse siano più gestibili. Dobbiamo fare qualcosa.