Autore: Davide Libralato
Ti faccio una domanda a bruciapelo: tu da esperto musicista che ormai da anni viaggia tra elettronica, sperimentazioni varie e suoni campionati, ritieni qualitativamente differenti l’Italo-Disco tanto osannata (e tornata in auge) in questo periodo e l’elettronica di “valore indiscusso” riconosciuta a livello internazionale? Se si, quali diversità trovi in loro?
Dunque, questo è un discorso complicato e premetto di non essere in realtà un grande esperto. Sono un curioso che continua a sperimentare possibilità. L’Italodisco è stata fondamentale, ma certa ovviamente, quella che si è fatta sentire nel mondo… non tutta a mio parere. Il nuovo movimento che viene ispirato lo è nell’approccio e cambiano soltanto i meriti in base ai risultati, nel senso che un tempo era davvero complicato e laborioso realizzare quel tipo di produzioni. Oggi è come giocare a Lego dove si possono utilizzare dei pacchetti preconfezionati, quindi sta nel tuo gusto o piuttosto nella nuova tecnologia riuscire a farli coesistere nel modo più efficace. Oggi c’è minor ricerca perchè c’è un riferimento ben preciso, e quel riferimento preciso è stata una sperimentazione molto divertente e creativamente molto elevata. Oggi è più semplice raggiungere risultati, un tempo era più complesso. La stessa Italodisco si rifaceva a degli stilemi internazionali i quali hanno riconosciuto alla stessa un valore altissimo. E’ stato quindi uno scambio di aspetti creativi secondo me. A dare dei giudizi sul meglio o sul peggio io non sono interessato. Mi trovo ad utilizzare il JUNO 60 che è un Roland del 1982; io non sono un tipo da mouse perciò mi trovo assolutamente meglio con un apparecchio così. Poi però, se devo mettere a tempo degli arpeggiatori lo trasformo in Usb per farci della divertente Italodisco. Mi piace la nuova leva e questa fase tecnologica perchè ti permette in minor tempo e con maggior facilità di realizzare delle cose fortissime.
In ambito musicale con la parola tributo si identifica quasi sempre la “mera” riproduzione di un artista cercando di replicarlo in maniera quanto più simile all’originale. A mio parere i tuoi tributi a David Bowie non sono nulla di tutto questo, e per me è un valore unicamente positivo. Cosa rappresenta per te questo genio della musica (e non solo)? Cosa ti avvicina alla sua arte e alla volontà di esporla a tua volta?
Quello che mi muove è l’ispirazione, perchè lo ritengo una figura che mi spinge ad osare. David Bowie mi ha sempre spinto a tentare qualcosa che non avevo mai provato precedentemente. Quando io interpreto il suo repertorio non è che mi metto la sua parrucca rossa e gli zatteroni per fare “Ziggy Stardust” o il completo beige per fare “Let’s Dance”; passo nel mio armadio e ho comunque i miei cambi abito e cerco di far fluire la sua maestria o quello che ha creato con un repertorio che va veramente in ordine sparso perchè è talmente ampio che si sta componendo e rigenerando negli anni. Il bello è proprio la possibilità di farne una mia visione, una mia interpretazione, secondo i miei limiti e i miei punti di forza. Questo mi ha insegnato ad avere delle capacità in più come Frontman perché sto davanti e devo gestire la voce dall’inizio alla fine. Io l’ho utilizzato proprio come tavolozza per imparare a fare cose che prima non facevo e l’unico senso è portare avanti questo tipo di progetto tenendo conto di delegare molto. Ho la fortuna di avere a che fare con grandi musicisti sicché lavoro molto nel feeling che ci deve essere tra loro perchè sono tutti bravissimi e non devo insegnar loro nulla. La mia intenzione è quella di star bene in loro compagnia e farli sentire motivati all’interno di questo progetto e ho infatti una partecipazione meravigliosa. Proprio come faceva Bowie lascio a loro la capacità di fare quello che sanno magistralmente fare. Io mi rifaccio al David del 2000, del 2002, della BBC live anche perché ha abbassato le tonalità ed è più “consono” al range che riesco a interpretare. Mi piace rendere omogeneo uno spettacolo diviso spiritualmente, in fondo siamo appassionati (chi più chi meno) di Bowie ma insieme stiamo bene a presentare quei pezzi. Non è importante quindi il break di batteria o il suono uguale, ognuno è qualificato per metterci del proprio e deve sentirsi libero di farlo.
Ti dimostri sempre presente nei confronti delle tematiche legate al sociale: ora per la ludopatia, precedentemente per la Sla o in concerti per scopi benefici di varia natura. Quanto credi sia importante che alcuni tasti (perdonami il gioco di parole) vengano suonati da persone che hanno una certa “risposta” del pubblico e quindi delle più disparate tipologie di persone?
Partendo dal principio che secondo me siamo tutti dei perdenti, nel senso che l’unica cosa cosa certa è che tutti perdiamo il tempo, sottoforma di un orologio che lentamente ci porta verso la fine della nostra vita. A qualcuno purtroppo questo orologio viene manipolato o addirittura sabotato e finchè non hai uno o più casi nella tua esistenza che ti strappano dei pezzi di cuore così senza chiedere niente, tipo l’amico che muore di HIV o un fratello che diventa disabile a causa di un ictus, si fatica a pensarci. Queste esperienze ti avvicinano a tuo malgrado a delle realtà che sono parte della vita vera e delle quali spesso altrimenti si resta all’oscuro. Vivendo poi in occidente e non avendo una visione del nostro percorso come un vero e proprio viaggio esistenziale con un’accettazione così presente facciamo finta che non si debba morire e che se diventi disabile o inciampi in una dipendenza o in qualsiasi cosa che rende il tuo meccanismo più complesso tutto porti alla “fine”. Ecco, io sono di vedute più elastiche perchè mi è successo un pò di tutto. Sono molto vicino al mondo della disabilità e quando sento parlare ad esempio di inclusione o di “facciamoli sentire normali” ecco… io penso che tanta gente con la SLA rispetto a me che riesco a deambulare da solo abbia tante di quelle risorse energetiche che vive proprio in una dimensione di forza superiore al normale. Visto che sono comunque uno squattrinato che non ha mai firmato i pezzi che ha composto e tantomeno registrati alla SIAE e lavoro grazie alla curiosità e alla creatività non posso mettere grandi investimenti. Posso però fare da tramite e metterci la faccia perchè il mio messaggio possa motivare le persone a fare raccolta fondi che devono rigorosamente andare a buon fine perché anche il sistema sanitario legato alla disabilità non è pulito ed è molto complesso quindi cerco di fare del mio meglio all’interno di realtà che apparentemente non mi appartengono perchè sono “in salute”. Succede poi che dalle persone che stanno male davvero imparo molto ed è uno scambio molto interessante che ti permette di parametrare la tua vita con delle fortune che a volte dai per scontate; compreso terminare una dipendenza o accettare che ogni tanto si possa finire in un grande casino. Spesso l’esigenza di un guadagno sfrenato porta il sistema a schiacciare delle categorie e si punta sulle loro debolezze per riuscire ad avere profitti anche dalle ludopatie ad esempio. A questi eventi per sensibilizzare le persone sono spesso presente perchè mi interessa entrare in quei mondi, ogni volta imparo qualcosa.
Al “grande pubblico” sei arrivato come tastierista dei Bluvertigo ma sei un musicista polifunzionale dal grande spessore; passi dal sassofono al sintetizzatore, dalla chitarra alla tastiera appunto. A livello creativo come scegli gli strumenti da utilizzare in quel determinato momento?
Premetto che non sono un musicista preparato, a differenza di tanti musicisti che studiano davvero. Il mio strumento è il sassofono e il secondo strumento è il JUNO 60 che è questo sintetizzatore Roland. Da lì posso tirare fuori qualsiasi sezione ritmica, dal basso alla cassa e rullante ecc. Ho simulato una band intera in verità. Sono un curioso, sono un giocherellone degli strumenti. Sono un amante dell’ autoharp e degli strumenti tunisini ecc. Io non ho una scelta ben precisa, ho un obiettivo e lavoro di conseguenza: come per esempio compongo musica per meditazione. Io pubblico solo su Bandcamp, questo portale che è la mia bancarella digitale. Spazio quindi dal genere che ti ho descritto prima fino a colonne sonore per danza contemporanea o alle produzioni di altri musicisti. Non ho uno strumento preciso perchè non ne suono nessuno bene, mi piace giocare e sperimentare, un pò come faccio con la pittura. Campiono delle frazioni di realtà che diventano dei loop; una volta l’ho fatto anche con il suono di una lavatrice in funzione. Per me questo suona sempre più originale di un suono già preconfezionato. Se voglio concentrandomi sull’elettronica vado in quella direzione studiando i miei paladini sennò rendo elettroniche le cose reali, anche i suoni della natura. Oggi le possibilità tecnologiche ci permettono di fare in casa molto di più rispetto a prima e cerco di utilizzare queste possibilità perché ne vale la pena. Per dirti, un brano che ho scritto 20 anni fa è finito in un album di Elisa; scrivo, immagazzino e poi magari tiro fuori dopo tanto tempo, è così che creo la mia musica.
Non sei solo un musicista, infatti ti occupi di pittura ed arte visiva in generale. Quando è nata questa tua passione? In qualche modo ha mai “intralciato” la tua carriera musicale tanto da farti pensare di dover scegliere una cosa o l’altra?
Tanti anni fa, ti parlo del 1999, conobbi ad una mostra che feci ad Asolo (Tv) Paolo Rossi (non servono presentazioni per il campione del Mondo di calcio) e presentando i miei quadri lui mi disse che dovevo scegliere se fare il musicista o il pittore. Ho avuto molti riconoscimenti nella pittura sostanzialmente perchè l’ho sempre vissuta come la musica, ovvero qualcosa su cui buttarmi e sperimentare per sovvertire le regole. Uno dei più grossi referenti dell’arte è Jérôme Sans, un francese molto colto che proviene dall’arte povera ed è una persona brillantissima che non ha bisogno di presentazioni. Venendo nel mio studio mi disse che in Italia abbiamo un problema strano in quanto se uno scultore o un pittore imbraccia uno strumento è un genio per principio mentre se un musicista si mette ai pennelli sembra sempre uno che lo fa per hobby. All’estero siamo abituati ad esempio a Laurie Anderson che in musica può essere protagonista della sperimentazione elettronica e poi fa installazioni artistiche. David Byrne dei Talking Heads fa i suoi light box e le sue mostre tranquillamente. Mi hanno fatto partecipare come unico artista italiano alla mostra “It’s not only rock’n’roll baby” e mi hanno fatto esporre accanto a delle foto di Patti Smith e ricordo che c’era uno dei Fischerspooner che faceva delle digitali ecc. È stata una bellissima esperienza dove ho potuto vedere dell’arte fatta da musicisti. Altra bellissima esperienza è stata quella sempre nel 1999. Francesco Messina aveva ideato questa “Musica senza suono” dove invitava tutti musicisti anche pittori o comunque artisti: Ivan Cattaneo, Ivan Graziani, Augusto Daolio, Andrea Mingardi e le sue sculture in legno. Tantissimi invitati per qualcosa di veramente originale e creato per togliere il pregiudizio in questo tipo di situazione. Non ho mai vissuto la sovrapposizione o la necessità di una scelta proprio perché a mio parere quando sei centrato una forma d’arte alimenta l’altra. Questo mi fa sentire vivo. Tutto questo ovviamente salvo impegni inderogabili quali tournée con i Bluvertigo o nei momenti che mi allontanavano per forza di cose dalla pittura. Sto lavorando anche grazie alla tecnologia all’unificazione delle due tendenze, per uno spettacolo che possa presentare o sui led wall o sugli ologrammi e proiezioni la pittura insieme alla musica. Questo è un mio obiettivo, una cosa che mi piacerebbe mettere in scena.
Ora l’ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perchè vive sognando”. Qual’è il sogno di Andrea Fumagalli in arte Andy?
Il sogno di Andrea Fumagalli in arte Andy è quello di continuare in una vita creativa che possa espandersi per il mondo e che possa stimolare e aiutare gli altri condividendo passioni e idee. Il sogno è di continuare e amplificare questo impulso non perdendo mai la curiosità, accettando anche questi cambiamenti a volte drammatici del mondo. C’è cambiato tutto sotto il naso e non ce ne siamo ancora accorti, ma per me alcune sono ancora cose fantascientifiche e mi piace soffermarmi molto sulle possibilità che stiamo vivendo e sogno che tutti possano farne un buon uso.