Autore: Davide Libralato
Abramo, sei un musicista italiano che vive e lavora all’estero. Come ci si sente a rappresentare il proprio paese fuori dalle mura domestiche? Questa “appartenenza” quanto determina l’espressione del tuo talento?
Questa più che una domanda è una provocazione!!!
Mi rammarica dover dire che l’Italia, che potrebbe davvero essere la patria dell’arte e della cultura nel mondo, si ostina a voler considerare questi due aspetti come un hobby da praticare nel tempo libero.
Fare spettacolo non significa fare Teatro come promuovere canzonette non supporta lo sviluppo del vero talento musicale e così via …
Io ho avuto la fortuna di viaggiare per gran parte della mia vita, anche quando stavo ancora completando il mio primario percorso didattico, questo mi ha permesso di non sentire la necessità di affondare radici in nessuno dei luoghi dove ho vissuto le mie esperienze. Tuttavia, ognuna di queste realtà ha contribuito ad arricchire le espressioni della mia creatività regalandomi la capacità di rompere gli schemi legati alle convenzioni e alle appartenenze, sia di stile che di pensiero, concedendomi di sentirmi a mio agio negli ambiti più diversificati tra loro.
Quindi, semmai io abba un talento da esprimere, è dovuto proprio a questo mio senso di “non appartenenza”. Nemo propheta in patria (nessuno è profeta nella propria patria) è una verità che ho potuto riscontrare a mio vantaggio. D’altronde la scintilla creativa appartiene all’etereo animo umano che, in quanto tale, non conosce confini e non sventola bandiere.
Qualcuno descrive la musica come un viaggio che si intraprende ogni volta che la si ascolta. Ci lasciamo trascinare dalle note e dalle sue atmosfere e spesso si finisce in luoghi impensabili, tra ricordi e riferimenti riguardanti la nostra vita. I tuoi brani sono avventure sempre diverse. La tua esperienza è internazionale, descrivici i diversi crediti che il mondo ti ha regalato.
Un’impresa ardua descrivere in poche righe quante emozioni e esperienze mi hanno regalato i miei incontri con le centinaia di artisti incrociati in oltre 40 anni di professione ma farò del mio meglio. Ogni artista con cui ho avuto il privilegio di suonare, mi ha sempre insegnato qualcosa, uno scambio costante che non ha mai smesso di suggerirmi nuove prospettive, a partire dagli incontri più fugaci durati solo un giorno, come l’entusiasmante esperienza trascendentale di suonare con gruppi tribali in Africa e in India, passando alle performance multimediali che mi hanno permesso di cooperare con fotografi, pittori, scultori e attori, fino alle collaborazioni professionali degli ultimi anni che resteranno per sempre incise nelle tracce dei miei album.
Soffermandomi su queste ultime credo sia doveroso ricordare alcuni dei prestigiosi nomi che hanno interpretato i miei brani partendo dal più eccelso, il tastierista Adam Holzman ( Miles Davis, Michel Petrucciani, Chaka Khan, Robben Ford, Steven Wilson ) che ha suonato nel mio precedente progetto Polynoke (©℗Clemmy Communication): puoi immaginare la sensazione di sentire la mia musica interpretata da un musicista che ho ascoltato suonare sui miei dischi preferiti sin da quando ero ragazzo. Per ovvie ragioni di fuso orario era in piena notte quando mi ha inviato le tracce delle sue parti, non ho potuto evitare di commuovermi al primo ascolto del suo assolo. Insieme a lui, sullo stesso brano, ho voluto il chitarrista Andreads Epaminonda ( Henry James, Erika Soteri, The Radical Panda ), giovane promessa della musica fusion formatosi nella fucina della Berklee School di Boston che ha saputo dare la giusta energia ad un brano molto articolato e complesso. Nei progetti degli anni passati altri autorevoli musicisti hanno arricchito le mie incisioni:
Lorenzo Herrnhut-Girola — chitarre (Colliding Particles)
Erik Brinkman — tastiere (Brokenstein & Friends)
Simone Caputo Atzori — chitarre
Rosario Abramo — batteria e percussioni (Prog-Fusion Project)
Cathy O’Gara — voce
Questi professionisti, insieme a tanti altri che non elenco solo per ragioni di spazio, hanno contribuito a trasformare delle idee in musica, quella che oggi si può ascoltare nella mia discografia. Una particolare menzione va al mio collega e amico di sempre Clemmy Della Rocca, musicista e pregevole ingegnere del suono, sin dal primo progetto è colui che dona alla mia musica un sound unico e sempre in evoluzione.
Innovazione e sperimentazione sono peculiarità che ti rendono un Artista stilisticamente unico, a tal proposito ti chiedo: se fossi un tuo ascoltatore, come definiresti il tuo genere?
Come disse il Dr. Lanning nel film “io Robot”:
«Questa è la domanda giusta!»
Io sono stato allattato dalla Prog-Rock degli anni 70, ho studiato musica Classica, mi sono forgiato con la Jazz-Fusion, mi sono evoluto con la New Age, ho vissuto respirando la World Music e mi sono immerso nella musica Elettronica. Ho suonato, amato e appreso da ognuno di questi generi e le loro diramazioni, come sarebbe possibile scindere questo agglomerato di generi che determina la mia visione musicale? Capisco che per ragioni discografiche e commerciali si tende sempre ad offrire un prodotto che sia identificabile e collocabile in una fascia di mercato ma non mi sono mai piaciute le etichette e le classificazioni di genere e mi sembrava un paradosso impiegarle proprio nei progetti che mi rappresentano. Io e il mio team siamo consapevoli del fatto che la mia discografia spazia in modo molto ampio attraverso i diversi generi musicali e questo potrebbe destabilizzare gli ascoltatori e forse scoraggiare i possibili “fan” tuttavia, abbiamo scelto di non porci questo limite e fare in modo che sia la personalità del mio stile a definire il genere e non il contrario, per cui se a chi ascolta la mia musica poni la domanda:
«Che genere stai ascoltando?» lui ti potrà rispondere: «Abramo Satoshi!».
Parliamo ora di GeeKay, il tuo ultimo singolo uscito poco meno di una settimana fa.
Il titolo è l’estensione dell’acronimo di Goruden Kōdo, ovverosia GK, che in giapponese significa “codice aureo”. Questo brano è una sintesi sonora di tutte le influenze a cui facevamo riferimento anche in precedenza: ci puoi raccontare com’è nato?
Era la notte fra il 31 dicembre e l’1 gennaio 2023, saranno state verso le 05:00 del mattino, ero da poco rientrato dal lavoro.
Durante tutta la serata mi era frullata in testa l’idea di un brano con un sound elettronico, una struttura con armonie minimaliste ma con melodie e ritmo che la facessero da padrone.
Malgrado la stanchezza sapevo che non sarei riuscito a dormire se non avessi appagato la mia ispirazione, quindi aprii il cassetto della creatività e di getto cominciai a scrivere le parti principali di questo nuovo progetto, come un pittore che mette colore sulla tela bianca dando sfogo al proprio istinto.
Non ricordo quanto ci misi prima di terminare e spegnere il computer, ricordo però che il giorno dopo al mio risveglio andai a riascoltare quello che avevo riversato di impulso nel progetto e rimasi colpito dalla sua validità. Per quanto si trattasse di una “early version” il brano girava in modo eccellente, era semplice e accattivante, ogni parte sembrava essere al proprio posto.
Fu allora, mentre ascoltavo questa bozza, che guardando la barra dei menu sul computer notai la sequenza dei numeri che formavano la data «01/01/23» (1-1-2-3) l’inizio della sequenza di Fibonacci.
Una buffa coincidenza direbbero gli altri, ma io non credo nelle coincidenze e allora andai a verificare la struttura del brano che avevo iniziato e la sua costruzione si sviluppava curiosamente su questa sequenza.
Alcuni teorici ritengono che vi sia solo un numero finito di simmetrie e, in breve, il nostro cervello in fase creativa è automaticamente portato a ricercare la costruzione di queste simmetrie.
Che si trattasse di istinto o consapevolezza, mi piacque questa visione di insieme e decisi di continuare su questa strada ispirandomi alla successione di Fibonacci e alla sezione aurea per proseguire con il perfezionamento del mio nuovo brano e di tutto il progetto ad esso legato.
Nei tuoi pezzi il comparto vocale non è quasi mai indispensabile, non almeno in maniera convenzionale o come siamo comunque abituati a sentirlo. Che cosa pensi della voce e della sua presunta imprescindibilitá?
In effetti nei miei progetti si può notare una certa propensione a sviluppare brani prevalentemente strumentali.
Non ho mai sentito la necessità di scrivere un brano prettamente vocale con un testo che racconti una storia, questo non vuol dire che io non apprezzi le peculiarità del canto, preferisco però che nelle mie composizioni sia la musica intesa come suono strumentale a raccontare il contenuto che voglio narrare e non un testo.
Quando serve uso il canto come fosse uno strumento qualsiasi e come tale deve far parte di un’orchestrazione al pari degli altri suoni, la nota equilibrata di un accordo.
Certo così è più difficile arrivare alle emozioni della gente per comunicare ciò che avevo immaginato, però in questo modo si dà più spazio all’interpretazione personale dell’ascoltatore che in fondo dovrebbe essere lo scopo primario dell’arte: permettere all’essere umano di cavalcare istintivamente le proprie sensazioni viaggiando con la fantasia, sentirsi tanto affascinato da un’opera al punto di identificarsi con essa, poco importa che sia fatta di suoni, di marmo, di immagini o di parole.
Personalmente ritengo che, non possedendo un talento tecnico come Bobby McFerrin, non avendo le qualità inarrivabili di Whitney Houston o non essendo un poeta come Ivano Fossati, conviene lasciare questa ardua impresa ai tanti artisti che riescono egregiamente ad usare il canto come mezzo di espressione del proprio talento.
L’ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perché vive sognando”. Qual è il tuo sogno Abramo?
Io ho tanti sogni, alcuni si sono già avverati, altri non ancora e forse non lo faranno mai, ma io non smetto mai di inseguirli anche perché sai cosa si dice dei sogni: quando smetti di inseguirli quei bastardi si fermano ad aspettarti!!!
Ad ogni modo una delle cose che al di sopra di tutte darebbe un senso alla mia esistenza sarebbe di sapere che la mia musica possa un giorno essere fonte di ispirazione.
Immaginare che essa mi possa sopravvivere arrivando a donare nuove idee a giovani musicisti che suonandola trovino la strada per crearne di nuova mi permetterebbe di continuare ad esistere attraverso di loro, proprio come è stato per me nella mia infanzia quando gli artisti che amavo mi hanno aiutato a definire il percorso che volevo intraprendere.
Forse, lo spero vivamente, qualcosa di loro continuerà ad esistere nella mia musica.
È tutto molto spirituale lo so, ma in fondo il vero super potere della musica è proprio questo: unire le persone quando non sono insieme, anche se non si sono mai incontrate prima.