Autore: Lorenzo Grazzi
L’Ucraina ha vinto l’edizione 2022 dello storico concorso canoro. Su questo non ci piove. Nonostante la giuria di esperti avesse inizialmente premiato l’interpretazione dell’Inghilterra, il voto popolare ha attribuito più di 400 punti all’Ucraina decretandone una schiacciante vittoria.
Oggi nasce la polemica secondo la quale la canzone ucraina non sarebbe stata la migliore in gara e non avrebbe meritato la vittoria attribuita, secondo i detrattori, semplicemente per questioni politiche.
Credo, con tutta l’umiltà possibile, che sia piuttosto riduttivo pensare a una vittoria politica. E vi spiego perché.
Comincio col dire che, quest’anno come non mai, l’Eurovision ha visto un numero enorme di partecipanti cantare nella propria lingua madre, un dato che già di per sé contiene un significato politico.
Chi ha assistito al contest ha ascoltato brani in islandese, lituano, moldavo, olandese, portoghese, serbo, sloveno, italiano e persino spagnolo sia da parte della cantante spagnola che, straordinariamente, dal rappresentante rumeno. Una scelta importante che ha scalfito persino la tradizione francese; chi segue l’Eurovision sa che da sempre il voto dei giudici di qualità è espresso da un portavoce che si rivolge in inglese al pubblico, ad eccezione del voto della giuria francese che ha preferito usare la propria lingua in ogni circostanza nel corso degli anni. Quest’anno invece persino la tradizionalista Francia ha portato sul palco una lingua regionale, il bretone, per la propria esibizione.
Non è una cosa da sottolineare questa voglia di riappropriarsi e, in fondo, prendere un po’ le distanze dall’imperante inglese e dalla globalizzazione che ha avuto per alcuni anni l’effetto di appiattire la comunicazione. Quest’anno, all’ombra dello slogan “The song of beauty”, molti Paesi hanno voluto portare le loro lingue, consci del fatto che avrebbero inevitabilmente raggiunto una cerchia ristretta di votanti.
Ma questa edizione è stata comunque speciale perché, dopo decenni, si è svolta in un’Europa in guerra e non avrebbe in alcun modo potuto non risentirne.
Torniamo indietro alle origini: siamo nel 1950, l’Europa si sta lentamente svegliando da uno sconvolgimento interno senza precedenti nella storia moderna, con milioni di morti, con lo sconvolgimento degli equilibri nazionali, con il crollo dell’impero Austro-ungarico, con lo spettro della Guerra Fredda e un mondo interamente da ricostruire.
Dobbiamo a un italiano, il giornalista e drammaturgo Sergio Pugliese, l’idea di un concorso canoro internazionale che avesse lo scopo di unire le Nazioni, cementandole tra loro e costringendole a conflitti canori e non bellici.
Pugliese voleva qualcosa che si ispirasse al Festival di San Remo e la sua idea piacque così tanto all’allora direttore dell’EUR, Marcel Bezençon, che si mise subito all’opera e nel 1956 venne trasmesso il primo Eurovision Song al quale parteciparono sette Nazioni, usando la musica come arma per combattere le diversità, le discriminazioni e gli asti nazionali.
Nel corso degli anni si aggiunsero mano a mano gli altri Paesi ma, ad eccezione del 2020, anno del Covid19, l’Eurovision non venne mai interrotto, nella convinzione che la musica dovesse essere il vessillo sotto il quale ci si potesse confrontare in qualunque circostanza.
L’Eurovision, e prima di lui la musica stessa, ha da sempre svolto una funzione pacificatrice, portando sul palco temi sociali e internazionali di portata epocale. Solo negli ultimi anni possiamo citare la vittoria della drag queen austriaca Concita Wurst, o la comparsa della cantante Madonna durante la cui esibizione nel 2019 venne lanciato un messaggio di pace tra Israele e la Palestina con il metaforico abbraccio tra le due bandiere.
La Musica è questo, alla fine. Da quando sono state suonate le prime note alla Musica è stato chiesto di essere una celebrazione e le si è attribuito un ruolo fondamentale nella società al punto di avere divinità proprie all’interno di qualunque pantheon del mondo.
All’Eurovision si fa politica? La risposta è sì, come in qualunque manifestazione, come in qualunque arte.
La pittura è politica (da quella di strada a quella classica, pensate ai volti vuoti del Goya, a Banksy, alla propaganda di David, solo per citarne alcuni), la letteratura è politica (Orwell? Cervantes? Flaubert?), la poesia è politica (il mal di vivere dei poeti maledetti, Pascoli, D’Annunzio).
Perché la musica dovrebbe fare eccezione?
Quando De Andrè cantava All’ombra dell’ultimo sole cantava della forza dell’accoglienza, La donna cannone è una fucilata al petto del giudizio e Bocca di Rosa denuncia il vuoto provincialismo di una Nazione.
L’Italia del 2022, dove la politica affossa le leggi a tutela della comunità LGTBQ+ è la stessa nella quale il popolo acclama a San Remo Brividi, con una vibrante interpretazione di un cantante di origini egiziane che guarda negli occhi un altro uomo e gli canta dell’amore.
La Musica è politica e l’Eurovision non può essere da meno.
Nel 2016 vinse l’Ucraina, con una canzone della cantante Jamala dal titolo 1944 che denunciava il dolore causato dalle deportazioni volute da Stalin in quell’anno nella Crimea nei confronti della popolazione tatara. Fu politica, certo. Ma fu sopratutto una forma d’arte, espressa sia in lingua inglese che in lingua tatara, con una profonda ricerca musicale e l’utilizzo degli strumenti tradizionali. Arte appunto.
Oggi l’Ucraina è la nuova vincitrice dell’Eurovision. La canzone Stafania dei Kalush Orchestra è un’ode alle madri, e i costumi contengono significati tradizionali regionali che vogliono celebrare l’intera Nazione. Arte appunto.
La partecipazione del gruppo al contest canoro è stata annunciata il 24 gennaio, un mese dopo la Russia invadeva il Paese. Una frase della canzone con drammatica lungimiranza recita “Troverò sempre la strada di casa, anche se tutte le strade sono distrutte”.
Oggi, nell’Europa della guerra ci si interroga se la canzone meritasse di vincere, ma si perde di vista il vero obiettivo non solo dell’Eurovision, ma della musica stessa: far riflettere.
La giuria popolare, che alla fine è comunque quella che conta, molto più della politica, ha votato non per l’Ucraina o contro la Russia, ma a favore del dialogo e della pace, dimostrando di preferire alzare la testa piuttosto che rimanere spettatrice silenziosa degli eventi.
La vittoria dell’Ucraina celebra, a mio avviso, la vittoria del valore della Musica e gli ideali con i quali venne pensato e realizzato l’Eurovision Song Contest in quel lontano, non poi tanto, 1950.