DUMB, IO CHE AVREI VOLUTO VIVERE KURT COBAIN

DUMB, IO CHE AVREI VOLUTO VIVERE KURT COBAIN

Autore: Sabrina Fava

“La sua musica è da ragazzine”.

“Non è bravo a cantare”.

“Le teenager lo ascoltano solamente perché era figo”.

Queste sono le considerazioni che negli ultimi anni mi sono giunte alle orecchie. Le parole che escono dalla bocca di coloro che pensano che lo smile giallo sia il logo della marca Nirvana.

Ho scoperto Kurt Cobain, o meglio i Nirvana, con la loro canzone più famosa. Chi non conosce Smells Like Teen Spirits? Se ve lo state chiedendo, la risposta è “Sì, cavolo” è quella che assomiglia a Supermodel dei Maneskin, ciò nonostante è da dire che quando il nostro Kurt si è fatto fuori, i membri del nuovo gruppo di rockstar erano ancora al caldo e piccoli come spilli.

Avete letto l’articolo di Michele Larotonda, lui sì che ha vissuto un’epoca fichissima, lui ha guardato Kurt Cobain imbracciare una chitarra con indosso una camicia a scacchi. Non potrò mai raccontarvi qualcosa in più, quindi vi racconterò qualcosa in meno. Vi parlerò della sua fotografia che ho tenuto per anni nel portafoglio, dell’enorme stampa su tessuto in bianco e nero che non ho mai appeso alle pareti.

Ascoltiamo ogni giorno canzoni per tenerci occupati durante le pulizie di casa o per ammazzare il tempo che separa casa-lavoro. Per me non è così semplice, io sono una di quelle persone a cui la musica trasmette qualcosa. Posso piangere, gioire, urlare, sentirmi sopraffatta, assorbita da una canzone. E ora voglio parlarvi delle sue, di depressione, di droga e di pigrizia. Da scrittrice so quanto vale una propria opera, so quanta anima ci sia racchiusa in quella prigione di inchiostro e carta.

Vi siete mai chiesti “Ma cosa si prova a cantare una propria canzone? Perché l’ha scritta? Cosa vuol trasmettere con quelle parole?”

Io me lo sono domandata e ho capito.

Negli ultimi due anni di attività del gruppo sono abbondate le richieste di aiuto sotto forma di dichiarazioni di depressione cronica e di volontà suicida. Ma… diamine perché nessuno l’ha capito?

Forse perché nessuno si è posto quella domanda. Forse i manager, affamati di fama, hanno letto i testi per ciò che normalmente essi rappresentano, non parole, non emozioni, non stralci di vita, ma un mezzo per riempire un album. A Kurt dava fastidio il fatto di non venir considerato per quanto faceva, ma solo in quanto merce che si vendeva bene. Era bello, dannato, era perfetto.

Lui stava gridando aiuto.

E ora sorge un’altra domanda… avete pensato a quanta ansia avesse prima di cantare certe canzoni? QUELLA canzone che non conosceremo mai, quella che ha scritto piangendo, sul lastrico, indeciso se continuare a scrivere o porre fine alla sua vita. Scrivere o morire.

Chissà cosa provava quando diceva “I think I’m just happy”, “penso di essere solo felice” con quella voce piatta, che emanava ogni sensazione lontana dalla felicità… lo era davvero? Oh, secondo me non lo era… era come un “Sto bene” quando sappiamo perfettamente di non star bene. Dumb è un tentativo di dimostrare a se stesso che la vita va bene così com’è e che lui non è altro che un idiota. Un accontentarsi, giusto? Era una persona sbagliata perché non era in grado di sentirsi appagato da ciò che possedeva. Era questo che credeva di sé. Io penso che si ritenesse una persona così fragile da non potersi permettere di far parte di questo mondo.

E in quel momento, io, Sabrina, mi sono sentita Kurt, non mi sono sentita un uomo morto, sia chiaro. Mi sono sentita una persona dispersa nei meandri della mia mente.

Lui non era il cantante di una band grunge, lui era ognuno di noi, ma ancora più fragile.

Era troppo vivo per vivere.

Lui era lo stesso uomo che si è gettato nel fiume o la ragazzina che si è tagliata le vene. Ha urlato al mondo che non stava bene e nessuno l’ha ascoltato, proprio come tanti di noi.

Kurt Cobain è un enorme senso di comprensione, mi dispiace che sia dovuto morire per farcelo capire.