DOOMSDAY CLOCK

DOOMSDAY CLOCK

Autore: Lorenzo Grazzi

Buon Apocalisse a tutti!

Fuoco e zolfo che piovono dal cielo? Probabile, e per altro anche molto presto. Sembra che il tempo del mondo come lo conosciamo stia per scadere. 

Una sensazione che si avverte nell’aria, quell’imminente senso di catastrofe che accompagna il nostro quotidiano e che sembriamo decisi a scansare, nascondendolo dietro le nostre vite tremendamente impegnate in cose di scarsa utilità.

Ma non è solo una nostra percezione, gli scienziati e gli osservatori oggi annunciano che i cavalieri dell’Apocalisse stanno preparando l’aperitivo prima di una terrificante cena a base di distruzione.

Nel 1947, dopo il conflitto che vide per la prima volta impiegate armi nucleari, gli scienziati si posero lo scopo di monitorare costantemente il reale pericolo che queste avrebbero potuto costituire per la sopravvivenza dell’umanità, nacque così l’Orologio dell’Apocalisse (Doomsday Clock), un orologio virtuale che indica quanto manca alla mezzanotte, ossia il giorno del giudizio, tenendo conto principalmente del pericolo nucleare.

Ma i tempi cambiano e anche la funzione dell’orologio finì col tenere conto anche dei cambiamenti climatici e di tutte le manifestazioni globali che hanno il potere di avviarci all’estinzione.

Nel 1947 mancavano sette minuti alla mezzanotte e da allora le lancette vennero spostate 22 volte: nel 1949, quando l’URSS annunciò i primi test nucleari le lancette corsero avanti di quattro minuti, tornando indietro di cinque nel 1960 quando le grandi potenze decisero di trovare un accordo sul nucleare intuendone il pericolo.

Con i test promossi da potenze quali l’India e il Pakistan ci avvicinammo ancora alla mezzanotte ma la fine della Guerra Fredda e lo scioglimento dell’URSS ci confortarono riportandoci alle 23:43. Era il 1990 e da allora non siamo stati mai più così lontani dalla fine del mondo.

Nel 2017 le elezioni americane e la corsa al riarmo nucleare e al sovranismo, nel 2018 l’incapacità dei leader di trovare un accordo sul cambiamento climatico, nel 2020 i segnali di cedimento degli ecosistemi e il covid19 ci hanno avvicinato alla catastrofe.

L’ultimo bollettino, datato marzo 2022, ci posiziona a 100 secondi dalla fine del mondo.

La responsabilità è senza dubbio del leader russo che appena iniziata l’invasione dell’Ucraina ha annunciato di aver armato le testate nucleari nel caso di un intervento della Nato nella questione, ma non è solo colpa di Putin se il tempo ci sfugge di mano.

Gli strascichi del covid, l’equilibrio precario dell’economia mondiale e la guerra in Ucraina si giocano su uno sfondo ben più terribile.

Se fossimo tutti a un tavolo a giocare a Risiko muoveremmo i nostri carrarmati colorati per compiere la nostra missione sperando nella fortuna, ma nel mondo reale non abbiamo più un tabellone sul quale muovere i pezzi.

Lo stato di salute del pianeta è ormai definitivamente compromesso e, tutto sommato, credo che sia di scarsa rilevanza la battaglia politica e mediatica che si gioca attorno alla questione Ucraina.

Il cambiamento climatico ha già dimostrato di essere in grado di costare miliardi e di spostare masse migratorie come nessuna guerra è mai stata in grado di fare. 

La situazione ambientale crea, ormai da diversi anni più morti di qualunque conflitto: i dati ISTAT ci dicono che nemmeno il covid nel pieno della sua forza, è riuscito a superare le vittime di patologie respiratorie causate dall’inquinamento (nel 2017 si parla di 53.000 morti in Italia), e tanto meno quelle legate a problemi cardiaci da fattori ambientali, ossia alimentazione scorretta e stile di vita sbagliato (e qui parliamo di 233.000 decessi).  

In altre parole mentre i giornali ci seppelliscono con le vittime e i disagi delle pandemie e delle guerre, qui si muore di tutt’altro.

Come mai non si fa qualcosa? La risposta potrebbe essere contenuta nell’uscita di qualche settimana fa del nostro Presidente del Consiglio che in merito alla questione Ucraina ha chiesto se gli italiani “preferivano la pace o il riscaldamento”. Ecco, vogliamo tutti il meglio, ma quanto siamo disposti a sacrificare per averlo?

Il 22 aprile è stata la Giornata della Terra, dove tv e quotidiani daranno ampio spazio agli ambientalisti e i capi di Stato ci diranno che è necessario intervenire repentinamente per salvare il pianeta e noi saremo tutti d’accordo. Poi arriverà il 23 aprile e no, la macchina proprio non la posso lasciare a casa per fare 500 metri. No, l’autobus è troppo scomodo per andare in centro. No, la luce non la spengo perché mi rovino gli occhi a leggere senza. No, non voglio mettermi a leggere tutte le etichette dei prodotti che compro perché ho diritto a compare quello che mi pare. No, non farò niente per l’ambiente, che comincino gli altri. E aspetteremo così il 22 aprile dell’anno dopo per indignarci e poi quello dell’anno dopo ancora. Sperando di arrivarci!

Nel frattempo, registriamo che la piovosità media in Italia nel mese di marzo (tradizionalmente uno dei più piovosi dell’anno) è stata di 18 mm. Un dato che da solo non dice molto, ma che vale la pena di confrontare con quello del Marocco che è stato di 22 mm.

Ma siccome non è compito mio fare paragoni, non ne farò e rimarrò a fissare l’orologio alla parete. 

A meno che non siate Cenerentola, la prossima mezzanotte potrebbe essere l’ultima del genere umano.