Autore: Maria Franzè
Lei è l’unica persona al mondo, che io conosca, ad essere così dannatamente, diametralmente opposta a me. Siamo differenti come il il giorno e la notte, come l’estate e l’inverno, come la luce e la tenebra. Siamo due rette che non si incrociano, anche se lei, Sara, è mia moglie e, sì che ci incontriamo, coabitiamo da dieci anni sotto lo stesso tetto, volteggiando immersi nel fiume della nostra dicotomia.
Allora, dicevo, io e mia moglie siamo ben diversi l’uno dall’altra, “e chi non lo è?”, mi direbbe lei scrollando le spalle, lo so, perché la conosco come le mie tasche, ma in verità noi lo siamo in misura allarmante, a prova di divorzio. Chi ci vede stenta a credere che siamo una coppia. Lei ha sempre freddo, io ho sempre caldo.
Accusa sempre il mio testosterone come la causa di ogni male presente nell’universo mondo.
“Tutta colpa del tuo testosterone.”, mi urla chiudendo le finestre, perché avverte correnti d’aria fredda, anche d’estate, quando fa veramente caldo. Io provo a protestare, ma lei non si arrende:
“Ti ho sentito, sai, hai appena starnutito!”
Qualcuno si potrebbe chiedere “ma come fanno questi due a vivere ancora insieme?”
Nessuna vita è rose e fiori, così va il mondo, questo penso io. Ma da un punto di vista meramente fisico siamo una gran bella coppia. Io sono alto un metro e ottantacinque e peso ottanta chili, ho l’aspetto di un cowboy, ho gli occhi scuri e infossati che sembrano ardere, la bocca sensuale, un sorriso bianco e perfetto, il mio odore personale attrae e seduce.
“Sei il sogno di ogni donna!”, mi sussurra Sara durante la nostra intimità.
E io le rispondo con una citazione del film L’ultimo metrò:
“Sei bella, Hélèna, così bella che guardarti è una sofferenza.
È una gioia e una sofferenza.”
Sara è bella da farmi sentire male, è ancora la luna dei miei sogni. Quando cammina per la strada, una scia di sguardi maschili la inseguono con ammirazione e desiderio. A sera, i suoi occhi spalancati, come se contemplasse un enigma, mi inducono ad ascoltare cosa dicono le stelle.
Dopo questa amabile digressione, ritorno a lei e me e alla nostra diversità globale.
Lei ama la pittura, il teatro e la musica. A me, il teatro annoia. La musica non la capisco e meno che mai la pittura. Ma l’accompagno ugualmente a vedere spettacoli e mostre e nel mentre penso allegramente ai fatti miei.
A casa nostra c’è sempre lo stereo accesso e io, amante del silenzio, spesso mi lamento.
“Che tragedia!”, fa lei che vorrebbe ascoltare, a volume spacca timpani, il numero incredibile di CD che ha collezionato negli anni. Le sue giornate le definisco chiassose: canta, inciampa, rompe qualsiasi cosa che finisce nelle sue mani, sbatte contro i muri, soffre di distrazione cronica. Margherita, nostra figlia, che ha otto anni è meno rumorosa di lei. Da piccola pare fosse ordinatissima, ma adesso non vi è traccia di quell’antica virtù.
Invece io sono ordinatissimo e metto tutto a posto con grande zelo. Ma poi arriva lei, trionfante con la testa tra le nuvole, a creare scompiglio e io la derido e la canzono, mi vendico spettinandole i capelli.
“Ma non mi sembra la fine del mondo avere dei calzini spaiati o no?!”, si impermalisce quando obietto che non riesco a riesumare un solo paio di calzini dello stesso colore a causa della sua sbadataggine. Io li accoppio e lei non si sa per quale oscuro motivo li faccia puntualmente scoppiare.
Quando andiamo a fare la spesa, sceglie accuratamente i prodotti peggiori. Per lei, la frutta e la verdura sono buone solo se brillano come la mela di Biancaneve, incurante della modalità di coltivazione e dell’origine di ciò che finisce sulla nostra tavola.
“Sei pedante, ma che colpa ne ho io del buco nell’ozono, della manodopera sfruttata nelle periferie del mondo, del cambiamento climatico e dell’utilizzo di energia a emissione di carbonio?!”, mi risponde convinta, quando le faccio notare che fa acquisti compulsivi e scriteriati e che in verità tutti possiamo fare qualcosa per diminuire l’inquinamento, per esempio contenendo i consumi e diventando consumatori consapevoli e responsabili. Ammetto che io mi inalbero e l’aggredisco spesso e volentieri su questo argomento, perché vorrei lasciare a nostra figlia, e ai figli di tutti noi, un mondo più sicuro e vivibile.
Casa nostra è un’esposizione universale di cattiva spesa, ma lei si oppone sostenendo il contrario, tenta di dimostrarmi che la pletora di detersivi e disinfettanti ammucchiati nell’armadio del bagno sia necessario per la profilassi della nostra salute, indifferente al loro potere inquinante.
“E invece, credo, che ci vuoi avvelenare con tutta questa roba inutile e dannosa a noi e all’ambiente!” perdo la pazienza.
A quel punto, lei si infuria:
“Bello mio, non sono io a decidere e a firmare i trattati internazionali in materia ecologica. Prenditela con Chi ha il potere ed è avverso a ogni politica di tutela climatica e ambientale!” Io ascolto la sua omelia, consapevole che la sua rabbia svaporerà presto.
“Ah, ti sei zittito? Sai cosa ti consiglio? Scendi in piazza con la passionaria Greta Thunberg, diventa uno dei suoi volenterosi soldati. Vai a combattere insieme a lei per salvare il mondo, povero illuso!”
La guardo e penso ma cosa ci ha uniti? Che cosa ci ha fatto innamorare l’uno dell’altra? Non lo ricordo più, forse un tempo eravamo due persone diverse che oggi non esistono più.
Vedo i suoi occhi puntati su di me come due fucili pronti a sparare:
“Ma cosa ti prende? Stai pensando al surriscaldamento globale?”, mi domanda sarcastica.
“No, sto riflettendo su noi due, sulla nostra diversità globale!” le rispondo e rido.