Autore: Lorenzo Grazzi
Mettetevi comodi perché oggi vado di riflessione pesante e comincio con una domanda importante: che valore diamo alla vita?
Mi spiego meglio perché già sento gli ingranaggi che si mettono in moto e non voglio causare emicranie a nessuno, che poi dite che il Barnabò fa male e noi dobbiamo mettere l’etichetta “Usare con cautela”!
Da qualche settimana è finito il Festival di Sanremo, evento di straordinaria portata che calamita l’attenzione dell’intero Paese per diversi giorni; anche chi non segue la manifestazione canora non può esimersi dall’essere travolto dai vari “colpi di scena” che quest’anno hanno visto protagonisti fiori presi a calci, corpi scoperti, baci provocatori e capi di Stato (in realtà la polemica Zelens’kyj è stata tutta italiana perché il presidente ucraino ha fatto sapere con estremo garbo che aveva altro da fare che partecipare, alle 2 del mattino, alla finale del Festival, stroncando così tutti i tentativi di politicizzare la questione).
L’Italia ha vissuto una settimana intera di presunti scoop, di illazioni e supposizioni riguardanti i concorrenti, l’outfit degli ospiti e dei cantanti; si è persino parlato delle canzoni di tanto in tanto.
Ma questo è Sanremo, e più in generale la tv, uno show continuo che non può mai fermarsi, una macchina di distrazione di massa che ha lo scopo di produrre fatturato, per cui niente di sconveniente da parte dell’organizzazione, un lavoro eccezionale.
Il mio dubbio è che la distrazione sia andata oltre: mentre parlavamo di gente che non sentiva “la propria voce” in cuffia come se da questo dipendesse la nostra salute fisica e mentale, il mondo andava avanti ed è un mondo che arranca, che fatica, che sembra proprio che stia per spegnersi.
Mentre incitavamo le donne a “pensarsi libere”, ci siamo sentiti tutti liberi di ignorare che fuori dal tendone del circo lo spettacolo è penoso: quando Mengoni veniva proclamato re del festival si raggiungevano le 35.000 vittime per il terremoto che ha colpito Turchia e Siria, arrivavano notizie terrificanti sulla guerra in Ucraina dove la Russia si stava preparando a una seconda ondata (altro che covid), sistemando testate nucleari al largo della Norvegia, e a casa nostra, in Piemonte per la precisione, si annunciava la più drammatica secca del Po in questa stagione e l’impiego di autobotti per sopperire alle mancanze idriche, giusto per ricordarci che stiamo vivendo in un periodo storico dove la nostra sopravvivenza è messa a rischio a causa dei cambiamenti climatici.
La biologia ci insegna che l’istinto animale (ma anche vegetale) è quello di sopravvivere e che per questo difesa, nutrimento e riproduzione sono i tre pilastri ancestrali che sorreggono la vita sul pianeta.
Ma noi, come genere umano, li stiamo rispettando? Ci lasciamo distrarre da eventi che non ci porteranno nulla in tasca (che sia un mondiale di calcio, la finale di Sanremo o Miss Italia), dedichiamo la maggior parte del nostro tempo e delle nostre energia a cose futili (mio nonno direbbe “aria fritta”), davanti a catastrofi naturali e guerre che avvengono a un paio d’ore d’aereo da casa nostra siamo freddi e impassibili in virtù dei vari “che ci posso fare io?”, “finché succede là!”, “però abbiamo anche bisogno di distrarci un po’!”.
A forza di distrarci rischiamo di non vedere il dramma che incombe, la nostra disattenzione ci potrebbe costare carissima: alle ultime regionali di Lombardia e Lazio ha stravinto il partito dell’astensionismo, più della metà degli aventi diritto di voto non ha pensato che valesse la pena esprimere la propria preferenza e, scusate, ma “tanto sono tutti uguali” non vale… se non ci piacciono i candidati, se non ci piacciono i nostri rappresentanti, se siamo diventati così apatici allora prendiamo torce e forconi e scendiamo in piazza, perché l’indifferenza è pericolosa in politica (oltre al fatto che c’è gente che ha combattuto una guerra mondiale – non il risiko – per darci il diritto di voto e irriderlo per pigrizia intellettuale sminuisce i sacrifici di quella generazione che, credo, avrebbe preferito guardare il festival di Sanremo che imbracciare fucili e farsi ammazzare!).
Il divertimento, lo svago, la leggerezza mentale vanno bene (benissimo!), ma non vedo la controparte: da cosa dobbiamo staccare la spina se non ci occupiamo concretamente delle cose serie?
Stiamo, come specie, affrontando i nostri tempi con una mollezza drammatica che ci fa perdere tempo che non abbiamo.
Vi capita mai di dare il 100% al lavoro, di passare una settimana a sudare sette camice e poi, quando arriva il fine settimana, di sentirvi stremati e appagati? In quel momento, avendo fatto il vostro, sentite di dovervi concedere un premio, un po’ di relax.
Ecco, il relax dovrebbe essere proprio questo, un premio per il duro lavoro svolto, per l’impegno, per il sudore impiegati nel quotidiano, qualcosa che arriva alla fine di un dovere compiuto, non una scusa per fuggire da un realtà che ci presenta il conto di debiti mai saldati.