Autore: Lorenzo Grazzi
Siamo in un epoca di grandi trasformazioni sociali (ma quale epoca non lo è?!), dove abbiamo a portata di mano un potenziale infinito condito con uno status che, almeno per la maggior parte di noi, è nettamente al di sopra del benessere. Non siamo in guerra, abbiamo cibo, non scappiamo dallo sfruttamento… insomma, il pacchetto base lo lasciamo ad altri, noi abbiamo il plus.
Proprio questo benessere ci pone in una posizione difficile: prima di tutto siamo nella piacevole condizione di poter dettare le regole del gioco, di stabilire uno standard (esportare la democrazia nei Paesi sotto regime, per esempio) o di elevare al nostro livello quelli che sono un po’ più in basso (lottando per un’istruzione maggiore in quei Paesi dove la scuola è un lusso, o per estenderla anche alle donne).
Insomma siamo un modello da seguire per il benessere che abbiamo raggiunto.
Però, forse, le nostre infinite conoscenze ci avvisano che, in questo particolare periodo storico, il nostro benessere che molti considerano come un punto di arrivo, è solo il punto di partenza.
È ormai indubbio che il nostro stile di vita non sia sostenibile, figuriamoci se i tre quarti del pianeta che vorrebbero raggiungerlo ci riuscissero… faremmo esplodere il pianeta in mezz’ora!
Nessun problema, basta far valere il nostro status e stabilire una nuova direzione per tutti, equa e sostenibile.
E invece il problema c’è, perché significa mettere in gioco il nostro benessere, significa fare delle rinunce… certo, al bar siamo tutti bravissimi a dare la ricetta per raddrizzare il mondo dopo esserci lamentati di quanto sia storto, ma poi siamo in grado di concretizzare la nostra volontà?
Gialunca Grimalda, economista della Bocconi, ricercatore in psicologia sociale e scienziato per il clima, lavorava per la IfW (l’Istituto di Kiel per l’Economia Mondiale). Il suo compito era spostarsi per il mondo a “sentire il polso” del pianeta e delle popolazioni.
Grimalda però era, ed è (non è morto fortuna per noi), anche consapevole che il suo lavoro lo portava a viaggiare spesso in aereo tuffandolo in un vortice senza fine… in pratica lo pagavano per registrare l’inquinamento nel mondo inquinando a sua volta.
Preso da una crisi di coscienza e desideroso di darvi pace, lo scienziato ha deciso di spostarsi solo mezzi a basso inquinamento e dal 2010 ha scelto di viaggiare senza aereo.
Tutto bene finché ai suoi datori di lavoro non è presa un po’ di fregola e 50 giorni per rientrare via terra dalla Papua Nuova Guinea non gli sono sembrati troppi. Subito gli hanno imposto di rientrare in aereo, pena il licenziamento.
Qui si apre il vero dibattito: cedere a un ricatto e lasciare indietro la coscienza o farsi licenziare?
Grimalda non ne ha voluto sapere: il suo viaggio in aereo avrebbe emesso 5300 kg di anidride carbonica, quello via terra 420 kg, una differenza sostanziale in un mondo che sta velocemente cambiando proprio per via di questo inquinante.
L’IfW ha licenziato Grimalda e questa è una storia, l’altra storia è quella del professore che da obiettore di coscienza per il clima farà ricorso, rischiando di essere il primo ad aprire un vaso di Pandora grosso come una casa su questo aspetto.
Forse non riavrà il suo lavoro (e forse non lo vorrà nemmeno), ma la lezione che Grimalda ci lascia è che si può sempre scegliere se onorare i propri valori o cedere ai ricatti dello status.
Il rischio è di trovarsi tra qualche anno al solito bar a lamentarsi delle solite cose che non cambiano mai per sentirsi poi rispondere da qualcuno “sì, ma tu dov’eri?”.