Autore: Lorenzo Grazzi
In questa primavera che ha deciso con un moto di orgoglio di riprendersi il suo tempo, in chiara sfida allo strapotere esercitato dall’estate allungata degli anni passati, mi ritrovo a pensare che quando ero piccolo (e la primavera era tale), ero solito osservare le lumache che, felici di quella stagione piovosa e calda, uscivano a passeggiare per lo stradello di casa. Erano tante, tantissime, alcune di dimensioni notevoli e con il loro tranquillo movimento cercavano di insegnare la pazienza all’esuberanza di un bambino.
Oggi che la primavera è tornata, però, le lumache non l’hanno seguita. Il cambiamento climatico le sta mettendo a dura prova e nonostante gli sforzi quegli animali così affascinanti stanno lasciando le nostre città, le nostre campagne. Forse il mio ricordo è uno degli ultimi, perché i bambini di oggi non avranno mai una storia legata alle lumache che riempivano la campagna in primavera, così non acciufferanno più le lucciole a giugno per riempire barattoli di vetro.
Tutto scorre inesorabile, svanisce, scompare.
La vita moderna è un frenetico susseguirsi di fast time dove ogni cosa invecchia prima del tempo, deve essere sostituita con qualcosa di nuovo, di più moderno del moderno, modelli 2.0 di telefoni, auto, persone.
La rete ci ha abituati che una notizia fresca lo è solo per qualche ora, sostituita con distacco da qualcosa di nuovo che appena nato è già in procinto di invecchiare, scomparire, essere dimenticato.
Non abbiamo più memoria perché abbiamo troppi dati e tendiamo a cancellare quelli obsoleti per sostituirli con quelli nuovi. Ma nuovo è solo un tempo fugace.
Così ci sconvolgiamo per una pandemia, ma non appena passa ci chiediamo se sia mai davvero esistita, se quei camion di militari con i cadaveri a bordo abbiano mai davvero attraversato le città. Il covid, l’abbiamo davvero vissuto?
Poi rimaniamo basiti davanti all’invasione dell’Ucraina, ai bambini rapiti e portati in Russia dei quali non abbiamo più traccia.
Ma questa scompare perché in Israele c’è un attentato terribile ordito dal gruppo terroristico di Hamas, ma anche questo scompare davanti alle violenze di Rafah e anche queste spariranno presto non appena accadrà altro che ci faccia restare con la bocca aperta… tutto scompare al ritmo di milioni di informazioni che ci arrivano in faccia come schiaffi ogni volta che prendiamo in mano un telefonino (anzi, uno smartphone, perché anche le parole diventano obsolete in fretta).
La rete è questo, notizie che si divorano le une con le altre in un batter di ciglia.
Ma quando il sistema è corrotto, lo sono tutte le sue parti.
La velocità imposta dalle globalizzazioni e da internet sta velocemente rendendo obsoleta anche la rete, quella stessa connessione che appena vent’anni fa era qualcosa di futuristico.
Il Pew Research Center ha fatto una scoperta incredibile analizzando nel dettaglio il decennio 2013-2023: internet sta morendo.
In appena dieci anni il 40% delle pagine web non esiste più. Cancellate, dimenticate, finite nell’oblio. I proprietari non hanno rinnovato gli abbonamenti per mancanza di traffico o per altre ragioni.
Rimane il fatto che circa il 23% delle pagine delle reti di informazioni internazionali conservano almeno un link a pagine che non esistono più. Notizie perdute delle quali rimane solo la memoria attraverso gli articoli relativi che verranno poi archiviati e cancellati quando non saranno più utili. Ma poi ci sono i blog, le pagine web, le informazioni sui prodotti che raggiungono picchi di clic nelle prime ore di vita e che poi finiscono a fermentare in un marasma sonnolento in attesa di trovare la pace.
Il rischio è che con la morte di internet, che sembra ormai prossima, sparisca anche la testimonianza di una società, di un periodo storico e la memoria di quelle vicende che, nel bene e o nel male, lo hanno segnato.
Noi possiamo scoprire da dove veniamo grazie a monumenti antichi di centinaia di anni come le piramidi, possiamo sapere come vivevano gli Antichi Egizi per via delle testimonianze incise su pietra e abbiamo potuto riscoprire il loro linguaggio per merito della stele di Rosetta.
Ma la nostra epoca si imprime solo attraverso memorie virtuali, immediate ed effimere, che scompaiono nel giro di qualche decennio. Come possiamo pensare di costruire un futuro senza la memoria di un passato?
I nostri nipoti non sapranno nulla dell’epoca dei loro nonni, si troveranno a un certo punto della storia senza avere idea di come ci saranno finiti e senza il supporto di monumenti a tracciare una rotta.
E cosa c’è di più pericoloso di un mondo senza testimonianze? I terrapiattisti? I negazionisti di qualunque cosa? Chi impedirà, tra cinquant’anni, di raccontare ai bambini che l’Ucraina ha invaso la Russia nel 2021? Racconti morti sui libri avranno il compito di essere memoria della società e della Storia. Ma ci potremo fidare di quei racconti?
Anche noi siamo, in qualunque momento, vittime della dimenticanza e lo siamo in un mondo nel quale lasciare il segno sembra imperante, un connubio spaventoso di fretta e determinazione che, forse, ci sta portando verso la fine di quel tempo che tanto vorremmo sconfiggere.