DDL ZAN, LA TRAGEDIA ITALIANA

DDL ZAN, LA TRAGEDIA ITALIANA

Autore: Lorenzo Grazzi

A moment of the demonstration in favor of the Zan law, against homophobia, at the Arco della Pace, Milan, Italy, 08 May 2021. “This is a success for democracy that shows that Italy is a civilized country and the vast majority of people want a law that protects the most vulnerable people”, said Alessandro Zan. ANSA/MATTEO CORNER

Il Disegno Di Legge Zan ha messo in evidenza le crepe sociali del “paese” Italia. Di cosa si tratta? Dell’estensione delle tutele per crimini d’odio (che oggi si applicano a chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”) anche a chi commette discriminazioni o reati “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.

Il DDL infatti andrebbe a implementare la Legge Mancino del 1993 estendendo a donne, disabili, omosessuali e transessuali le medesime tutele.

Sembra un concetto semplice e di buon senso, ma siccome il buon senso in Italia è frequente come gli unicorni a pois, la legge sta subendo un iter lungo, faticoso e dal destino incerto.

La discussione è finita sui quotidiani e nei telegiornali e le diverse parti politiche hanno fatto tutta la confusione possibile in modo da manovrare con più disinvoltura il gregge; per dirne una la campagna contro il DDL è stata gestita a colpi di “utero in affitto”. Per altro definizione spregiativa che dovrebbe indignare qualunque donna.

In pratica oggi in Italia verrete perseguiti penalmente se chiamerete qualcuno “negro” (definizione che da sempre rientra per altro nel dizionario italiano e nel colloquiale senza per questo essere spregiativa… conosciamo tutti “il popolo di negri che ha inventato tanti balli e il più famoso è l’alligalli”, no?), ma se alla stessa persona darete del “frocio”, ah beh, quella la scusiamo e via. 

Bisogna stare attenti con i termini.

Se il prete del paese abusa di una minore non potete nel modo più assoluto dire che si tratta di un “cattolico di m.” ma se siete fortunati e la vittima è un ragazzino allora potete sfogarvi chiamandolo “ricchione di m.”.

Certo, la vittima è sempre una vittima, ma siccome qui, in Italia, non è che ci freghi poi molto delle vittime ma di come sfogare le nostre frustrazioni personali, dobbiamo stare attenti alle parole che usiamo.

Questo poi è il paesucolo nel quale quando si legge di un crimine si corre a vedere l’origine del criminale. Tanto a dire che un ladro italiano è un ladro diverso da uno straniero come se il problema non fosse il furto. 

Comunque, la questione è ben più complessa di quello che può sembrare e la classe politica fa davvero l’impossibile perché il gregge non si accorga della cosa.

Siamo ad oggi uno degli ultimi Paesi (metto la maiuscola per rispetto grammaticale) europei in fatto di leggi a tutela del panorama LGBTQ+, e sediamo nel Parlamento europeo con Nazioni come la Francia che ha una legge dal 2003, la Spagna che dal 1995 punisce con pene pecuniarie l’aggravante dei crimini d’odio, la Svezia che infligge fino a 4 anni di carcere e non parliamo della Norvegia dove il crimine d’odio tutela la comunità LGBTQ+ dal 1981!

Da noi si chiude la questione con una bagarre e quando non si sa che pesci pigliare si gioca l’asso di briscola: “l’utero in affitto!” spauracchio di qualunque ragionamento. Oddio non è che negli altri Paesi al momento dell’approvazione di questa pratica (usate da coppie eterosessuali e non) abbia cominciato a scendere una pioggia di zolfo dai Cieli.

Con l’infelice termine “utero in affitto” si intende quella che i civili chiamano maternità surrogata, ossia la scelta libera e consapevole di una donna di gestire una gravidanza per chi non può farlo, categoria che non implica solo due uomini, ma anche coppie eterosessuali che per motivi vari non possono avere figli in maniera tradizionale.

In pratica la scelta di una donna di fare del suo corpo quello che vuole.

Di questo parliamo, di scelte individuali, perché attenzione, finire a fare le vergini vestali custodi del sacro focolare famigliare è un attimo. Dite di no? 

Viviamo in un Paese nel quale l’emancipazione femminile è ostacolata che nemmeno l’invasione di Napoleone, dove la libertà della donna di abortire è ancora vista con sospetto in alcune regioni. 

Anche in Iraq le donne se la passavano bene, potendo accedere a istruzione gratuita e carriere lavorative, poi arrivarono i talebani e dalla Guerra del Golfo in poi la donna è relegata in casa col volto coperto e con un indice di alfabetizzazione in costante calo. Le irachene degli anni ‘70 sicuramente non pensavano che sarebbe finita così mentre guidavano la loro auto per andare all’università o al lavoro, ignare che presto non avrebbero più potuto uscire di casa senza un uomo.

Cose di una società distante, direte voi.

Allora attraversiamo l’Atlantico per scoprire che proprio in questi giorni negli sviluppatissimi USA si sta preparando il referendum per limitare (sarebbe meglio dire abolire) il diritto all’aborto. Perché poi una donna dovrebbe scegliere se avere figli o meno. Nel Medioevo non c’era l’aborto e si stava molto meglio. E comunque poi una catasta di legna, un inquisitore e il gioco è fatto. Alla Chiesa piacerebbe sicuramente rievocare questo sport tradizionale. 

Capite perché il DDL Zan è importante? Ogni conquista civile è un mattone che tutela tutta la società, sfilare uno di quei mattoni dal muro significa far crollare la struttura. Non a caso in Italia non abbiamo un solo stralcio di tutela per la fine vita, per dire. Un diritto civile non può, per definizione essere ad personam come certe leggi che vengono varate con sorprendente velocità, è un diritto di tutti, sui quali si appoggiano altri diritti e poi altri ancora. L’approvazione del DDL Zan sarebbe una tutela anche per il diritto all’aborto, per il divorzio, per tutte quelle conquiste che diamo per scontate come facevano le donne irachene e forse quelle americane.

Da noi però festeggiamo il mese rosa, con la festa della donna, la festa della mamma e, udite udite, la festa del ciclo mestruale, importante evento che si celebra il 28 maggio e che vuole sensibilizzare sul ruolo della condizione femminile.

Ecco, noi festeggiamo. Riempiamo le bacheche dei social con foto delle donne della nostra vita gridando eterno amore a loro, ma per carità, che non si parli di garantire loro gli stessi diritti, anzi, se possiamo vediamo anche di gestire il loro corpo. Figurarsi se dobbiamo privarci della libertà di chiamare le persone “frocio”, “ricchione”, “checca” e compagnia cantante. Il nostro livello d’istruzione media d’altronde non è che permetta proprio voli culturali in prima classe, no.

Se poi ci va male possiamo anche riempire donne di botte o insultarle, loro e i colleghi omosessuali, transessuali e disabili, l’importante è che non ci scappi mai di bocca una parola legata alla loro religione o al colore della pelle, se no son guai seri!