Autore: Stefano Luigi Cantoni
Il signor S si alzò di buon’ora come da antica abitudine e dopo colazione mosse in direzione del centro storico che, senza le scuole, era finalmente tornato vivibile. Giunto al ponte medievale che dava diretto accesso alla città antica si fermò, in attesa del suo compagno di passeggiate nonché amico di vecchia data, il signor E. Non appena lo vide arrivare, col solito passo trascinato di chi si è svegliato storto, S lo stuzzicò per testarne l’umore. «Allora, vecchio E, come andiamo?» L’altro alzò un poco gli occhiali fumé, squadrandolo dal basso verso l’alto. «Ora che ti vedo, peggio caro mio.» Nonostante la sua lenta malattia non aveva perso la tipica verve ironica che lo aveva sempre contraddistinto durante la vita monotona che si era cucito addosso in quegli anni. Si incamminarono per il pavé guardandosi attorno con circospezione, come se gli fosse stato dato un compito: camminare, per loro, non era un semplice esercizio fisico per tirare l’ora di pranzo, ma qualcosa di più. Era la possibilità di guardare il mondo attorno a loro con occhi diversi, attenti, critici: un gioco delle parti che non smetteva di divertirli. Proprio all’altezza del fornaio l’attenzione dei due fu attirata da un crocchio di bambini urlanti in coda per una focaccia, con le mamme intente invano a smorzarne i toni, sotto un sole che era già di rame. «Li tenessero a casa, sti marmocchi, anziché farli ingozzare come polli» disse il signor E, visibilmente indispettito. S si sentì sollevato: il suo compare era in giornata. Non perse tempo, ribattendo a tono all’amico. «E sentiamo un po’, vecchio mio, cosa faresti fare a questi “marmocchi”, se fossero tuoi?» «Gli insegnerei la civiltà, ecco cosa farei.» «E quale sarebbe la civiltà, secondo te?» «La nostra, S, la nostra!» Gonfiando il petto riprese a camminare verso il Duomo, luogo ormai adibito alle loro quotidiane e stimolanti disquisizioni. Giunti a pochi passi dalla grande piazza il signor E si voltò verso una coppia di ragazzini con in mano il cellulare, intenti a ridacchiare davanti a una vetrina di scarpe. «Che diavolo avranno mai da ridere quei due lo san solo loro» bofonchiò appoggiandosi alla murella in pietra romanica che conduceva a piazza Duomo, sotto gli occhi sempre più coinvolti dell’amico che, davanti a un’occasione così ghiotta, non riuscì a trattenersi. «Magari stanno leggendo qualcosa di divertente.» «Chi, quei due lì leggere? Ma fammi il piacere. Guardali, quell’aggeggio gli ha fritto il cervello, te lo dico io. Questi un libro nemmeno sanno cosa sia.» Il signor S scrutò l’amico serio, prima di dar fiato a poche parole. «Questione di punti di vista, caro E.» «Al diavolo te e i tuoi punti di vista, S! Non ci sono punti di vista a questo mondo! Non esiste più amore per le cose belle, per l’educazione, per la cultura. Ecco, si, per la cult…» Tutto a un tratto la sua voce si interruppe, rapita dalla figura di una donna bellissima sulla cinquantina che, libro alla mano, passeggiava come una dea nel centro della piazza, baciata dal sole che aveva lo stesso colore dei suoi capelli. Il signor E, stregato da tale visione, mosse in direzione della donna seguito dall’amico che, incuriosito, lo stuzzicò. «Che intendi fare?» «Congratularmi con lei.» «Per che cosa?» chiese S, sempre più stimolato da quella sorprendente mattinata. «Perché ha in mano un libro! Finalmente una persona di cultura, per bene, civile. Merita i miei complimenti, caro vecchio S.» Giunto a pochi passi da quella creatura perfettissima, il signor E si schiarì la voce, nel tentativo di conferire solennità a quel suo cavalleresco e mirabile gesto. «Permette una parola?» disse con fare accomodante, ammaliato alle perle turchesi che aveva al posto degli occhi. «Ma certo, mi dica» rispose lei con una voce degna solo delle sirene. «Volevo farle i miei complimenti. Sa, non caspita spesso di veder qualcuno con un libro in mano.» A quel punto l’espressione della donna parve mutare, come se le parole di E avessero toccato qualcosa in lei che era meglio lasciare sepolto. «Mi scusi ma devo andare» disse congedandosi, un istante prima che lui mise a fuoco il titolo: “Come uccidere senza lasciare traccia.” Rimasto solo in mezzo alla piazza fu raggiunto dall’amico che, appoggiandogli una mano sulla spalla, lo stuzzicò. «Allora, vecchio mio, com’è andata?» L’altro, sorridendo a denti stretti, sussurrò poche parole, trasudanti delusione. «Dipende dai punti di vista.»