Autore: Stefano Luigi Cantoni
Uno dei momenti più delicati e spinosi per uno scrittore è senza dubbio il finale, che esso sia di un racconto, di un giallo, di un romance o di un fantasy. Per chiunque, chiudere “degnamente” pagine e pagine di sudore, lacrime e ripensamenti divenuti finalmente solide certezze risulta oltremodo complicato. Scegliere un finale piuttosto che un altro non è certo un’operazione da effettuare a cuor leggero, tutt’altro! Per capirci, è un po’ come ritrovarsi nell’ora di punta, sotto il sole cocente, affamati e nervosi, a uno dei più grandi crocevia della metropoli in cui viviamo: un sacco di scelte, tutte sulla carta corrette e possibili, si parano davanti a noi, confondendoci.
Sappiamo perfettamente che solo una di esse sarà la strada che ci porterà a casa sani e salvi, ma sono tutte così maledettamente uguali, almeno a una prima scorsa! Eppure, se aguzziamo la vista, possiamo notare alcune piccole ma fondamentali differenze. Ci portiamo nei pressi della prima via, la più luminosa, lineare, pulita. Scorgiamo una coppia ben vestita che vi si addentra, mano nella mano, scambiandosi furtivi baci composti e dolci, voltandosi di tanto in tanto con rispettosa e cosciente pudicizia, sino a che il loro percorso termina nel più sereno e vaporoso degli idilli amorosi, in fondo al ciottolato.
Bello, no? Stiamo per percorrere quella strada anche noi, sicuri sia quella giusta, ma un grido proveniente dal vicolo accanto ci fa trasalire, obbligandoci a buttare l’occhio, in un misto di angoscia e curiosità. Le narici si impregnano subito dell’odore di fogna che trasuda dai tombini zeppi di foglie e sporcizia, nell’istante in cui le nostre iridi si posano sul corpo di un uomo riverso a terra, immerso in una pozza di sangue. Un urlo ci muore in gola, le gambe diventano di pietra e il cuore è sul punto di esploderci nel petto, nel vedere un figuro incappucciato dirigersi verso di noi con un coltello in mano. Non ci resta che scappare a gambe levate!
Voltato l’angolo, vivi per miracolo, riprendiamo colore, confondendoci nel flusso continuo e anonimo della folla intenta a rincasare, chi per due ore, chi per tutta la notte, chi per non uscire mai più. Un incrocio di destini, squarciato dal suono dolce e soave di una chitarra che ci attira verso l’ultima via, nella quale vediamo ammassarsi ragazzi e bambini. Un profumo di zucchero filato ci si infila dritto nel naso proprio quando la band improvvisata attacca a suonare. Non è una musica nuova, eppure non riusciamo a riconoscerla. Ci ricorda tanto quella che ci cantava la mamma, prima di dormire, anzi no, sembra più quella che odiava la mamma, quando andavamo al liceo, anzi che stupido, ecco, sembra proprio quella con cui abbiamo dato il primo bacio, fuori da scuola. Un suono di sirene ci desta, la polizia sgombera tutto, la band sparisce e, nello spazio di pochi minuti, il vicolo torna deserto, silenzioso, anonimo.
Non ci resta dunque che tornare alla prima via, la più lucente. La via dell’amore, della sicurezza, del futuro roseo. Giunti all’imbocco, però, la strada è sparita, cancellata. Eppure era lì, davanti a noi, pochi istanti prima. Dei due amanti nessuna traccia, così come dei loro baci. Corriamo nella viuzza dell’uomo incappucciato, ma non troviamo neppure quella. In preda all’ansia, sentiamo che il finale ci sta sfuggendo di mano e torniamo così nella piazza ma le vie sono scomparse, assorbite da un unico grande viale, ormai deserto. La gente pare essersi volatilizzata, dissolta nel nulla, colorata dello stresso cielo plumbeo e incorporeo che si posa come una cappa sottile sulla nostra testa confusa.
Che fine ha fatto il finale della nostra storia? Forse è lì, nascosto in qualche vicolo semibuio e maleodorante, che aspetta solo di essere scritto…