CARLOTTA E FRANCESCO

CARLOTTA E FRANCESCO

Autore: Gianluigi Chiaserotti

Roma. Autunno 1942.

Si era in piena II Guerra Mondiale.

Città dilaniate da una guerra inutile, come lo sono sempre in questi tragici momenti che purtroppo la Storia ci ha insegnato a studiare, ma sicuramente a non apprezzare.

La guerra qualsivoglia essa sia è inutile e crea più problemi di quelli che dovrebbe risolvere.

L’Italia entrò in guerra per semplicemente soddisfare inutili vanaglorie, e con la speranza di vincerla.

Invece il disastro fu totale.

Carlotta, come ogni mattina, usciva dalla sua casa al Celio per recarsi a svolgere il lavoro di dattilografa alla “S. A. T. A. la Società Anonima Trasporti in Africa”.

Gli uffici erano ubicati nel centro di Roma, alla via Poli.

Questa Società, dato il momento storico, ed i nostri rapporti con l’Africa era il massimo per un giovane che voleva lavorare bene, ma anche avere soddisfazione economica.

Infatti, Carlotta, su indicazione di un cognato, lasciò il Ministero degli Esteri, ove aveva sempre il ruolo di dattilografa, per questa “chimera” che fu appunto la “S. A. T. A.”.

Il suo lavoro era molto apprezzato dai capi.

Carlotta aveva anche un buon rapporto con i colleghi, che, anche dopo la Guerra, restarono suoi amici.

Tra questi c’erano Gabriella e Nella.

La prima fu la mamma di una compagna di scuola della nipote di Carlotta.

Il lavoro alla “S. A. T. A.” aumentava a vista d’occhio, tanto che la proprietà decise di incrementare ulteriormente il personale.

Infatti nel dicembre ’42 ci furono nuove e concrete assunzioni.

Tra le nuove assunzioni ci fu anche quella di Francesco. 

Un ex ufficiale dei bersaglieri, combattente in A. O. I., ma rientrato in Italia dopo la sconfitta e la concessione “dell’onore delle armi” al Duca d’Aosta Amedeo sull’Amba Alagi il 20 maggio 1941. 

Infatti il Duca d’Aosta, successe, nel 1937, al Generale Graziani quale Vicerè d’Etiopia ed il suo fu un periodo di buon governo dopo le gravi nefandezze del detto Alto Ufficiale. 

Nel 1941, il Vicerè ed i suoi uomini resistettero agli inglesi sull’Amba Alagi.

Dopo giorni di resistenza il Duca d’Aosta fu costretto alla capitolazione, ma ebbe appunto l’onore delle armi.

Morirà alle 3,45 del 3 marzo 1942, quale prigioniero di guerra n. 11590. 

Prigioniero appunto a cui gli inglesi concessero, come visto, l’”onore delle armi” e gli avevano prospettato il rientro dalla prigionia, da Lui nobilmente rifiutato, volendo rimanere con i Suoi soldati e prima di spirare disse: “Importante non è dove e quando si cade, ma cadere bene […] e sarebbe stato meglio morire sull’Amba Alagi, ma capisco che questo desiderio era vanità, e quindi bisogna saper morire anche in una clinica, in un letto, lontano dalla Patria, da tutti ed in mano al nemico”.

Al Duca d’Aosta fu concessa la Medaglia d’Oro al V. M. 

E Francesco amava sempre ricordare questa bella pagina di eroismo.

Francesco era figlio di un pittore e mosaicista in Vaticano, e di una pianista e ricamatrice, ed abitava nel cuore del Rione Prati. 

La sua era una famiglia di artisti. 

Il suo avo paterno un fine incisore e cesellatore, mentre quello materno insigne pittore di temi religiosi ed evangelici del ‘800 romano.

Anche Francesco si dilettava, e con successo, in pittura.

Ma Francesco era anche uno sportivo.

Il 21 ottobre 1930, nella casa romana dell’ambasciatore d’Italia Adolfo Vinci, alla via Alessandro Torlonia n. 10, unitamente ai quattro figli dello stesso, Eugenio, Paolo, Piero e Francesco, ed ai loro amici, Giorgio Riganti, Armando Nisti, Bruno Romei, Aldo Rusticali, Carlo Raffo, Ernesto Nathan (nipote omonimo dell’indimenticabile Sindaco di Roma dal 1907 al 1913) ed il padre Goffredo, Giuseppe Bigi ed il padre Tullio, Romolo Marcellini, Francesco fu uno dei fondatori della Rugby Roma.

Militò nella detta squadra, sempre e solo a livello dilettantistico, come è la filosofia e la tradizione di questo sport. 

Tra il 1930 ed il 1937 e negli anni 1940-41, egli contò ben sei presenze nella prima squadra, mentre dal 1941 al 1942, e quindi fino al 18 maggio 1947, il nostro, unitamente a Luigi Bricchi, fu allenatore della Nazionale Italiana di Rugby. 

Francesco quindi nel dicembre 1942 iniziò il suo lavoro alla “S. A. T. A.”.

Era essenzialmente un lavoro di organizzazione e catalogazione di documenti e schemi in cui il nostro eccelleva per la sua maniacale precisione.

Nel gennaio 1943, Francesco chiese al suo diretto superiore un aiuto per il lavoro in quanto non riusciva a terminare, ed al meglio, certe catalogazioni.

Gli fu affidata Carlotta, la quale come dattilografa poteva benissimo seguirlo nel compito assegnatogli.

Era la fine di febbraio 1943, periodo in cui Carlotta passò dal primo al secondo piano del palazzo di via Poli per andare a lavorare con Francesco.

L’inizio del lavoro fu subito pervaso da una sintonia di intenti e di vera collaborazione. 

Anche Carlotta era di una precisione pressoché maniacale. Dattiloscriveva gli schemi impostati da Francesco con una velocità e precisione necessari in tale lavoro.

Con questo nuovo incarico, Carlotta si sentiva più spensierata, più soddisfatta del suo lavoro e, all’uscita pomeridiana, quasi non voleva tornare a casa.

Un fuoco di passione le stava iniziando ad ardere dentro.

Lavorare con Francesco, parlarci, scambiarsi delle idee per lei di ventidue anni era come comprendere di essere divenuta più matura, più conscia che iniziava la vita, quella vera.

Infatti, sua sorella maggiore non le perdonò mai di aver lasciato il Ministero degli Esteri per la detta Società in quanto aveva fatto pressoché miracoli per farla assumere.

Ma Carlotta era felice della sua scelta in quanto le capitò di lavorare con un uomo che iniziava a lasciare, e concretamente un segno.

Anche Francesco iniziò a sentire qualcosa verso Carlotta.

Era il 19 aprile 1943, Lunedì Santo, Francesco e Carlotta si erano presi un momento di sosta sul grande terrazzo al terzo piano del palazzo.

Stavano entrambi fumando (Francesco già fumava da tempo, mentre Carlotta aveva voluto iniziare questo piacere di sua unica volontà e con la maturità dei ventidue anni, e ciò da un paio di mesi), e lui si dichiarò a lei.

Carlotta sentì un fluido che le attraversò tutto il corpo.

L’”Έρος” era sorto e la ragazza, felice, si accese un’altra sigaretta.

Ogni giorno Francesco andava in bicicletta a prendere Carlotta in un luogo stabilito in quanto a casa ancora non sapevano nulla, e con lei, seduta sulla canna, si recavano al lavoro.

I mesi passavano.

L’Amore tra i due aumentava.

Dopo il lavoro si recavano al Caffè Aragno sulla via del Corso e trascorrevano qualche ora fino a sera.

Ogni giorno era uno scoprirsi sempre di più.

Un comprendere l’uno e l’altra.

Francesco era anche molto colto perché amava leggere di tutto. Carlotta era estasiata nell’ascoltarlo.

Siamo giunti purtroppo al luglio 1943.

La guerra ormai non andava più nel verso che tutti speravano.

Nella notte tra il 24 luglio ed il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del Fascismo approvò l’Ordine del Giorno firmato dal Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, il conte Dino Grandi.

Ordine del Giorno in cui si chiedevano le dimissioni di Mussolini ed al Re Vittorio Emanuele III di riprendere in mano la situazione.

La mattina dopo Benito Mussolini si recò a Villa Savoia, ed il Re, a titolo cautelativo, lo fece arrestare.

Dopo 21 anni di Dittatura, l’Italia provò a tornare nella democrazia.

Ma l’amore tra Francesco e Carlotta era più che solido.

Purtroppo, persa ormai la Guerra, anche la loro Società chiuse e licenziò tutto il personale.

E fu un momento molto difficile per questi due ragazzi che si volevano veramente bene.

Ricostruire un lavoro ed una vita dopo la guerra non fu facile, ma in due nulla è mai perduto.

Ma Francesco continuava sempre a seguire la sua passione sportiva, divenendo, tra l’altro, arbitro di rugby, ma anche di tuffi e palla a nuoto, altro sport che frequentò con discreto successo.

Con Carlotta riuscirono ad aprire un bar alla via Tomacelli e l’attività sempre per la loro maniacale precisione non andò male.

Tale attività la ebbero fino ai primi anni ’50, quando Francesco incontrò nel loro bar un suo ex capo della “S. A. T. A.”, divenuto, nel frattempo, responsabile di settore dell’”Alfa Romeo”.

Fu quindi proposto a Francesco di assumere un incarico organizzativo in detta Società automobilistica.

Il suo era un lavoro certosino di catalogazione ed ordine dei pezzi delle automobili.

Francesco ne parlò con Carlotta, la quale ne fu felice per lui, ma nel frattempo gli disse che non se la sarebbe sentita di condurre il bar da sola anche perché lui sarebbe stato spesso fuori per le ordinazioni dei pezzi automobilistici.

Quindi cedettero la loro parte del bar agli altri soci.

Carlotta lavorò saltuariamente con rappresentante di prodotti per parrucchieri.

L’unione di Francesco e Carlotta fu sempre più solida.

Lui aveva una base economica che permetteva ad entrambi di condurre una vita veramente agiata.

Serate a teatro.

Feste, ricevimenti, ristoranti.

Viaggi.

Villeggiatura nelle amate Alpi.

Ma il lungo fidanzamento doveva pur terminare.

Il 19 maggio 1956 Francesco contrasse matrimonio con la sua Carlotta nella cornice della chiesa di San Giovanni e Paolo al Celio, la chiesa dove lei si recava da bambina, giocando nella limitrofa Villa Celimontana.

Carlotta, non avendo il padre, fu accompagnata all’altare dal fratello maggiore.

Dopo la cerimonia, e prima di un piccolo rinfresco, Francesco e Carlotta si allontanarono per scaricare la tensione, andando nella limitrofa Villa a fumare (piacere un po’ primario anche perché affrontato e fatto con la loro maniacale precisione). 

Fu così anche perché la mamma di Carlotta ancora non sapeva di questo piacere della figlia.

Gli sposi andarono in viaggio di nozze tra Costa Azzurra, Monte Carlo e Parigi con una “topolino” l’utilitaria del tempo della FIAT.

Ma la vita per Francesco mutò ancora.       

Infatti, nel 1957 la passione per il “giuoco della palla ovale” (come era denominato nel periodo in cui erano vietate le parole straniere) divenne anche il suo lavoro.

Fu assunto al “C. O. N. I.”, e precisamente alla “Federazione Italiana Rugby”, ove Francesco divenne segretario della “C. O. G.”, la “Commissione Organizzativa Gare”.

Nel novembre 1960, Carlotta e Francesco divennero genitori di un bambino, Gian Ludovico. 

Il bambino divenne la gioia di Francesco.

Ci giocava, ci parlava, stava sempre con lui.

Francesco era sempre dedito alla famiglia ed alla sua Carlotta.

Anche con la famiglia, fece molti viaggi in Italia ed all’estero.

Torino, Milano, Firenze, Napoli, Londra, Vienna tanto per citarne alcuni.

Purtroppo il 26 ottobre 1973, a soli 61 anni, un infarto, contratto il 19 ottobre, portò via dalla vita Francesco, nel rimpianto generale della sua mitica figura di rugbysta, di organizzatore di gare, di profonda umanità, di padre premuroso ed affettuoso. 

Per Carlotta l’improvvisa scomparsa di Francesco fu una vera e propria tragedia. 

Sola con un ragazzo di dodici anni da tirare su, farlo studiare, seguirlo.

Ma ce la fece, e molto bene, anche consigliando Gian Ludovico nelle scelte di vita.

Il racconto termina qui.

Ma chi sono i personaggi di questo racconto?

Sono i miei genitori. Carlotta è il secondo nome di mia mamma che si chiamava Teresa e Franco.

Li ho voluti ricordare in questo 2023 che rappresenta un anno di anniversari: 80 anni che si sono conosciuti (1943) e 50 che è scomparso mio padre (1973).

Ho conosciuto ed apprezzato mio papà solo per 12 anni, ma fino a 44 ho avuto mia mamma, la quale mi è stata molto vicina in tutti i miei aspetti di vita.

Mi ha fatto da padre e da madre in ricordo dell’esempio che fu Franco per me e per lei.

Ma soprattutto ha rinunciato a molto per non farmi venire meno nulla.

Il racconto l’ho scritto in quanto credo sempre che “scire est meminisse”, cioè “conoscere è ricordare”. 

E la forza del ricordo è quella che occorre per il presente e per il futuro.