Autore: Stefano Luigi Cantoni
I tristi eventi verificatisi di recente al carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano mi obbligano a una riflessione su uno dei temi più spigolosi e dibattuti: il valore della pena.
Per cominciare, partiamo dal 1764, anno in cui venne pubblicato il libro Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, nonno materno di Alessandro Manzoni. Nel trattato sopracitato, infatti, ritroviamo un concetto basilare con il quale dobbiamo confrontarci in questo nostro spazio letterario.
In pieno accordo con le teorie illuministe del tempo, la pena, secondo Beccaria, doveva essere non solo commisurata al reato ma occorreva che rispettasse un crisma imprescindibile per ogni società civile, ossia ricoprire un valore educativo o, meglio ancora, rieducativo.
Un po’ come già anticipato da Tommaso Moro in Utopia, che senso ha punire una persona se poi questa non capisce lo sbaglio commesso? Nella migliore delle ipotesi lo ripeterà una seconda volta, nella peggiore quel comportamento scorretto diverrà il paradigma costante della sua esistenza.
Rieducare significa, tra le altre cose, ricondurre a una linea consona e adatta a un comune “sentire”, prima ancora che a un fisico “vivere”: se non percepiamo gli altri come individui in grado di migliorarci, sarà mai possibile correggere il tiro su ciò che non funziona in noi e, di rimando, nelle nostre azioni?
Tornando ai fatti di cronaca recente, è triste vedere che il nome del grande studioso e illuminista sia infangato da una visione ormai del tutto distorta (per non dire ribaltata) della giustizia. Un microcosmo buio e umido dove i carcerati (ancor più grave se minorenni) diventano il bersaglio inerme di frustrazioni e perversioni nascoste sotto l’ombra di una divisa da guardia carceraria.
Violenza per violenza: questo vige oggi al Beccaria (e non solo lì ma in parecchie carceri ormai al collasso). Il paradosso del nostro tempo sta qui, nel ribaltare l’unica utilità della pena (a mio avviso), ovvero il reinserimento nella società di un individuo cosciente e, per quanto possibile, migliore rispetto a prima.
Eppure, tali soprusi non stupiscono il sottoscritto: il “vento nero” che soffia forte nel nostro Paese punta sempre più allo scontro tra classi, tra ruoli, tra maschere, cercando di riscrivere addirittura la Storia. Figuriamoci che gravità rappresenti pestare senza ritegno minorenni, spesso magari in tre contro uno, per poi vantarsi di quanto fatto (sante intercettazioni!). Molto educativo, non trovate?
Il “gioco” sta diventando troppo frequente e con esiti spesso drammatici e vergognosamente messi a tacere. Non si tratta solo di politica, ma innanzitutto di umanità: l’abuso di potere e di forza fisica, tipico di chi è vittima di vuoti cosmici e pochezza di pensiero, sta passando come “normalità” nel sonnecchiante sentire comune. (“Ma sì, tanto le guardie hanno sempre menato, che novità…”)
Le persone adibite a rieducare devono essere formate e, se serve, punite, per essere loro in primis un esempio da seguire o, quantomeno, individui da non temere: l’obiettivo è creare un modello di giustizia basato non più sulla forza e sulla prevaricazione ma, piuttosto, sul rispetto e sul confronto, imprescindibili elementi per una crescita coscienziosa e duratura sia dell’individuo che della comunità.