Autore: Lorenzo Grazzi
Meglio vivere di rimpianti o di rimorsi? È una domanda filosofica, ma non poi tanto. Quante volte ci è capitato di dire “ah, se avessi fatto quella cosa…” o “se avessi seguito l’istinto…” o, ancora, “se avessi spedito quel messaggio”… d’altronde la nostra lingua, come molte altre, prevede un tempo verbale dedicato, il condizionale, a quelle situazioni ipotetiche che potevano essere ma non sono state.
Accanto ai vari passati, imperfetti e futuri che indicano una collocazione temporale, l’essere umano ha sentito la necessità di definirsi con un tempo del dubbio, delle possibilità inespresse e perdute. Questo la dice lunga sulla nostra specie.
Ma ci siamo mai fermati davvero a quel “Se”? A quello che esprime e rappresenta tutto ciò che viene dopo? Se avessimo fatto tutto il possibile per evitare la guerra… se avessimo fatto del nostro meglio per contenere la pandemia… se ci fossimo impegnati di più per avere un mondo equo…
Sinceramente il condizionale è anche sopravvalutato, un tempo da frustrati, inconcludente. Mi scuserà, signor Condizionale, se le dico che dopo di lei le parole perdono significato.
La parte importante, quella che svolta tutto nella vita, arriva prima di quel “Se”, appoggiato per far sapere che non rimane che il rammarico. Non sarebbe meglio abolire questo tempo verbale e dare la massima importanza ai tempi presenti?
Che a ben guardare poi non è che ci resti altro: i passati sono andati, i futuri sono volubili, ma il presente è una concreta certezza.
Anche perché oggi rischiamo di non avere un futuro se non facciamo qualcosa ora.
Se pensate che mi riferisca alla guerra in Ucraina vi sbagliate, la partita è molto più importante e mette a rischio la nostra esistenza. Parliamo di crisi idrica e di cambiamento climatico.
Nelle prime settimane del mese di giugno il Po, principale fiume italiano, ha riversato in mare 300 metri cubi d’acqua al secondo. Un dato che a me non dice molto, ma paragonato a quello degli anni passati fa gelare il sangue. Nello stesso periodo del 2020 i metri cubi che il Po cedeva all’Adriatico erano 1500.
Se pensavamo che dopo la pandemia la strada fosse tutta in discesa ci sbagliavamo digrosso, e non è solo la guerra a destabilizzarci. Uscendo da un sistema antropocentrico per qualche secondo, infatti, ci vuole poco per accorgersi che non solo il pianeta è ammalato, ma che quello che era un male occulto sta rapidamente esplodendo in superficie.
Il 2022 sarà ricordato come l’anno della grossa siccità invernale; non che in passato non ci siano mai stati fenomeni simili, ma erano eccezioni di scarso interesse. La novità è che la siccità odierna si combina con la mancanza di neve sulle montagne, due fenomeni che combinati insieme sono potenzialmente letali per la sopravvivenza delle specie animali e vegetali.
L’impegno dei Paesi sviluppati è sulla riduzione delle emissioni entro il 2030, ma gli scienziati stimano che per quell’anno saremo già tutti altrove, non so se mi spiego.
Nel 2030 infatti si stima che il livello dei mari sarà aumentato di 5 centimetri, i ghiacciai perenni saranno completamente scomparsi dall’Europa e dall’Asia, la richiesta di acqua per l’agricoltura non potrà più essere soddisfatta con un conseguente aumento dei prezzi della carne che tornerà a essere un bene di lusso insieme a latte e latticini. Non scordiamoci che la fame e soprattutto la sete, porteranno a fenomeni migratori mai visti prima nella storia dell’umanità.
Stiamo vedendo cosa possono fare 100 giorni di guerra sull’economia mondiale, abbiamo sperimentato due mesi di attività ferme con il lock down e direi che dovremmo aver chiaro che il nostro sistema economico non solo non guarda in faccia nessuno, ma non si regge nemmeno in piedi da solo. Vogliamo davvero sperimentare gli effetti della sete?
Proprio in questi giorni la maggior parte delle Regioni italiane sta dichiarando lo stato d’emergenza; sono diversi i comuni anche al nord che si sono visti costretti a razionare l’acqua e ancora di più sono quelli che stanno cercando di far fronte alla situazione con autobotti. Sembra pazzesco ma tra non molto tempo potremmo essere costretti a fare le code quotidianamente per portare a casa l’acqua.
Secondo gli esperti ci restano dieci anni prima che diventi impossibile la vita umana senza dissalare l’acqua marina. Ma ricordiamo che il processo è estremamente costoso e la cosa porterà a un ulteriore aumento dei prezzi perché, se ci pensiamo un attimo, tutto ciò che accade su questo pianeta prima o poi incrocia l’acqua.
La buona notizia è che possiamo fare qualcosa per allungare un po’ le tempistiche del disastro: intanto pensare all’acqua come a un bene prezioso potrebbe ridurne gli sprechi. Nessuno si sognerebbe di sprecare una bottiglia di buon vino, perché dovremmo farlo con l’acqua che presto costerà molto di più?
Immaginare un nuovo sistema architettonico per gli edifici che permetta di raccogliere la già scarsa acqua piovana che oggi viene sprecata per il 90%, depurare le acque reflue e usarle per l’agricoltura che a oggi è il principale consumatore di acqua. Chiudere i rubinetti. Segnalare le perdite in maniera tempestiva. Riutilizzare l’acqua dei condizionatori (può essere usata per il ferro da stiro, nei detersivi, per pulire i vetri e tutte quelle attività che richiedono acqua priva di calcare).
La situazione è grave. Lo è davvero. Nel giro di un paio d’anni la nostra vita potrebbe cambiare radicalmente. Uno schiaffo in faccia a quelli che dopo la pandemia sognavano solo di tornare alla “normalità”.
Impegnarsi adesso, in questo momento, è un modo per evitare di dirci poi “ah, se avessi fatto del mio meglio quando ero ancora in tempo…”.